TECLA CAPPELLUCCI. DISPIEGANDO MARGINI. NEI DINTORNI DI D.W. WINNICOTT E OLTRE, DI P. FABOZZI
Paolo Fabozzi, Dispiegando margini. Nei dintorni di D.W. Winnicott. E oltre, Franco Angeli, Milano, 2024, pp. 222, € 28,00
L’apporto prezioso di Dispiegando margini è quello di non intendere la teoria come punto d’arrivo, bensì indagare complessità e rilanciare un dialogo che si sviluppi al fine di supportare ulteriormente la nostra comprensione clinica.
Fabozzi ci introduce a quello che desidera presentare attraverso una citazione di Soriano sui calciatori, incipit del primo capitolo. Ce ne sono di tre generi (di calciatori), il terzo tipo è rappresentato da quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. Questi sono i profeti. I poeti del gioco (27). Il rimando è a un nuovo spazio nella teoria e nella clinica psicoanalitica che si delinea come altro rispetto alle letture e ai modelli preesistenti a cui tendenzialmente ci si rifà.
L’autore contestualizza e descrive l’ambito culturale e scientifico in cui le ipotesi teoriche e cliniche di Winnicott si sono andate a delineare. Viene riportata la tensione dialettica e creativa che negli anni delle Controversial Discussions ha animato quegli scambi, soprattutto con M. Klein.
Lontano dal voler presentare un libro su Winnicott, come esplicitato, l’intento di questo lavoro è di sviluppare le intuizioni di Winnicott nel tentativo cdi cogliere e pensare qualcosa di nuovo (22). Il lettore viene introdotto ad una complessità articolata con rigore e passione. Il rigore risiede nella necessità di sottrarre la teorizzazione di Winnicott alle semplificazioni a cui è stata a volte esposta, smarcandola dal rischio di essere sacrificata in concetti-cliché. Altresì, il rigore e la passione si evincono nello studio approfondito e accurato dell’autore dell’opera di Winnicott, aderente al testo in lingua originale ed attento alla necessità di significare le parole scelte dall’analista inglese. Esempi di questa fedeltà al testo si ritrovano nel rimando al termine ruthlessness, “spietatezza” (92), riferito al modo del bambino di distruggere l’oggetto. Analoga accuratezza si legge in riferimento al concetto winnicottiano di impingment la cui accezione, nell’approfondimento di Fabozzi, si arricchisce di nuovi significati. Solitamente infatti impingment è stato inteso come termine per indicare l’urto esercitato dall’ambiente durante gli stati di quiete del bambino, ma l’autore ne indica un’altra accezione che rimanda al concetto dell’esposizione e della pervasività.
Dispiegando margini è dunque un testo generoso e circostanziato nel cogliere ciò che Winnicott ha esplicitato, ma anche nell’avvicinare ciò che nel pensiero dell’analista inglese è rimasto embrionale e da sviluppare. Si riconosce nel testo la cura per il lettore che viene preso per mano e avvicinato a questa ricchezza, indirizzato da alcune indicazioni. Il primo suggerimento è di abbandonare la chiave di lettura binaria che tendenzialmente caratterizza il pensiero occidentale. Gli opposti non si contraddicono, leggiamo nel libro. Partiamo da qui e godiamo piuttosto del paradosso, un modello esplicativo tanto amato da Winnicott.
L’ulteriore indicazione, rintracciabile trasversalmente in tutto il testo, è che la ricchezza e la complessità dei concetti presentati sono avvicinabili a patto di vederli nella loro qualità di “fotogrammi dinamici” (127), usando una definizione dello stesso autore. Il rimando è a concetti continuamente in divenire. Concetti non comprensibili nella loro pienezza, se non tenendo presenti le oscillazioni costanti a cui rimandano. Esempi di ciò sono gli stati di quiete del bambino, stati primari e predominanti del neonato, che si alternano con gli stati di eccitamento. I primi, gli stati di quiete, hanno luogo nella profonda dipendenza e fusionalità con l’ambiente, i secondi, gli stati eccitati, permettono al bambino di avvicinare l’oggetto, ed è la costante oscillazione tra una dimensione e l’altra, e la progressiva, graduale possibilità di integrazione, che porterà il bambino a costituire il rapporto con la madre come persona.
Il titolo, Dispiegando margini. Nei dintorni di D.W. Winnicott. E oltre, dichiara l’articolato intento dell’autore. Il libro infatti dà centralità allo spazio in cui il mondo interno incontra il mondo esterno. Due dimensioni che si incontrano nutrendosi vicendevolmente. Tra queste non è calzante immaginare una chiara e delineata linea che le divida, bensì, dispiegandone i margini, si apre piuttosto uno spazio in cui si gioca l’incontro tra il mondo interno e il mondo esterno.
Il resto del titolo, Nei dintorrni di Winnicott. E oltre, rimanda all’uso clinico che possiamo fare delle intuizioni e delle definizioni winnicottiane, sollecitati anche ad aggiungere un di più, intento che l’autore realizza. Particolarmente significativi a riguardo sono i contributi seguenti: il capitolo che analizza la dimensione del playing, il ricchissimo capitolo 5 sull’uso dell’oggetto, il lavoro in cui viene rivisitata la relazione tra narcisismo e distruttività (capitolo 6), la personale lettura riguardante la genesi dell’interpretazione (capitolo 7) e, da ultimo, i due capitoli finali sull’inconscio non rimosso e su una nuova forma di controtransfert.
Il testo sviluppa la visione germinata con Winnicott di una “silenziosa e radicale rivoluzione futura, genesi di un nuovo vertice psicoanalitico” (27). Al centro, la tesi che la nascita e lo sviluppo della mente dipendono da un lavoro di costruzione intrapsichico e, imprescindibilmente, anche da “processi inconsci di costruzione interpsichica” (45). Questo tra analista e paziente, così come, in statu nascendi, tra genitore e neonato. In una rete di reciproci movimenti inconsci le funzioni psichiche dell’analista e della madre vengono sollecitate e attivate. Così il playing, il gioco, ha luogo nello spazio potenziale che si realizza nell’interazione tra l’intrapsichico e l’intersoggettivo. La dimensione onnipotente è riconosciuta fisiologicamente indispensabile, e altrettanto indispensabile è la possibilità di oscillare tra questa dimensione e quella che include il contatto con l’oggetto e il suo uso. Il capitolo 5, sull’uso dell’oggetto tra distruttività e creatività, descrive appunto come l’oggetto, collocato gradualmente fuori dall’onnipotenza del bambino, si costituisca come tale. Questo è possibile attraverso una tensione costante: una continua distruzione dell’oggetto nella fantasia inconscia (131) su cui si innesca la subentrante dimensione di elaborazione immaginativa. Di fronte alla potenziale distruttività del paziente, intesa dall’autore come provocazione, ciò che è determinante è la risposta dell’analista di cui il paziente potrà fare esperienza.
In alcuni scenari, però, davanti a situazioni cumulativamente traumatiche, nell’apparato psiche-soma del paziente si realizzano delle disconnessioni (140). L’autore le paragona all’azione di un salvavita che davanti a uno sbalzo eccessivo di tensione toglie l’energia elettrica determinando il buio ma permettendo di avere salva la vita, come descritto nel capitolo dedicato alle esplorazioni tra narcisismo e distruttività. Sono soluzioni in cui il catastrofico, la disgregazione dell’apparato psichico, sono scongiurati, ma al duro prezzo di non avere accesso alla possibilità di relazionarsi con l’oggetto, con se stessi e con le proprie emozioni, e lontani dal poter esperire la pienezza del sentirsi reali. Condannati, dunque, all’isolamento esistenziale, al senso di vuoto e di non autenticità. Come raggiungere il paziente immobilizzato e prigioniero in questa condizione? Il paziente, cioè, il cui deficit è rintracciabile nell’area dei funzionamenti primari. Le pagine dedicate all’inconscio non rimosso e al controtransfert pervasivo esplorano questa possibilità.
L’analista infatti, investito dal fragore che consegue l’entrare in contatto e l’intercettare il disorganizzato e il caotico del paziente, cerca di sopravvivere a tali turbolenze. Ed è proprio nell’esperienza che il paziente fa del (e con il) proprio analista impegnato in questo tentativo che si realizza un’esperienza all’insegna dell’intimità e della reciprocità.
Da ultimo l’autore presenta uno specifico funzionamento del controtransfert che definisce pervasivo. Si tratta della ri-creazione, nella relazione analitica, dei ritmi e delle atmosfere sensoriali che hanno costituito l’ambiente primario del neonato, ambiente sensoriale in cui il sé del bambino si è trovato immerso e da cui si è trovato permeato. Gli stati sensoriali e le atmosfere a cui siamo rimandati attraverso il controtransfert pervasivo hanno la caratteristica di essere diffusi e persistenti.
Il lavoro analitico descritto in Dispiegando margini si svolge, dunque, all’insegna del vicendevole modificarsi tra l’inconscio del paziente e quello dell’analista. Definitivamente lontani dalle modalità interpretative che rischiano di suonare come interventi dogmatici e di indottrinamento (104), ci sentiamo piuttosto interrogati rispetto a quanto, come analisti, siamo disposti a farci trasformare dall’incontro con il paziente, lasciando che il nostro psiche-soma funga da cassa di risonanza.
Tecla Cappellucci
Tratto dal n. 2/2024 della Rivista Psicoterapia Psicoanalitica su autorizzazione dell'Editore Franco Angeli