Adele Maugeri. Editoriale di Psicoterapia Psicoanalitica n. 1/2025 - "Genesi e Dimensioni del NO"
In questo numero di Psicoterapia Psicoanalitica, con “Genesi e dimensioni del NO”, proponiamo una riflessione e degli stimoli che vogliono indagare il percorso di costruzione di quel confine che crea e dà forma ad un contenitore capace di promuovere trasformazioni vitali, ma che può anche diventare una repressione che pone limiti invalicabili e distruttivi.
I primi No che si presentano nell’ordine dell’evolutivo vengono espressi per contraddire, mettere alla prova l’altro, se stesso e il limite, andando così a costruire gradualmente l’emersione dell’“Io sono”. Un movimento identitario che si svincola dalla fusionalità, dall’imitazione e dalla dipendenza assoluta che, quando eccessivamente protratta, genera frustrazione e odio. No che promuovono e permettono la nascita di quello che potrà essere un pensiero, tollerando la sua possibile messa alla prova. Uno sviluppo che trova radici profonde nelle aree primitive della mente, e nella primissima infanzia, un processo che potrà evolvere nel tempo, facendo esperienza e potendo rinegoziare e reintegrare i diversi aspetti di Sé che emergono lungo le trasformazioni delle diverse età della vita.
Allo stesso tempo troviamo il non saper dire di No che può rimandare ad una mancanza di autostima, alla perdita o non costruzione di una fiducia di base, al bisogno di compiacere l’altro per sentirsi accettati e desiderati, mostrando così l’impossibilità di essere riconosciuti nei propri bisogni senza sentirsi “sbagliati”, non corrisposti, conducendo il soggetto al ritiro e alla passività.
Ugualmente, per chi lo riceve, un No può essere sentito come un rifiuto, un essere respinto, ingenerando sensi di colpa, resa alle sottomissioni, alle relazioni manipolatorie e autoritarie. Dimensioni in cui il proprio Sé è riconosciuto e acquisisce valore solo fin quando aderisce e si riconosce nel corrispondere al desiderio dell’altro, strutturando, come ci dice Winnicott, un Falso Sé accondiscendente. Movimenti attraverso cui, come mostra Aulagnier, può avvenire anche la trasmissione inconscia transgenerazionale di aspetti impensabili e indigeribili appartenenti alle generazioni che precedono la persona.
Genesi e dimensioni del No che sono importanti nel loro divenire, che accompagnano l’emergere dei processi di separazione e di soggettivazione rispetto alla dipendenza, avviando la costruzione di una funzione regolatrice capace di accogliere e modulare quell’opposizione del soggetto quando, pur volendo affermare se stesso, accetta la propria messa in crisi nel dialogo, di potersi incontrare con l’altro su un piano di reciprocità. Un movimento esperienziale che preserva la vita, la creatività dei processi evolutivi e generativi per entrambe le parti e in cui sia possibile riconoscere e avvicinare quel limite per come è tollerabile in quel momento.
Il No può allora essere espressione del rifiuto, della ribellione all’identico, all’omologazione, alla copia, espressione di una spinta vitale ed auto-affermativa che si organizza, che riconosciamo nella ribellione dei gruppi sociali, degli adolescenti o delle minoranze, una dinamica gruppale e sociale che, soprattutto nell’attualità, chiede ascolto.
Un tema che nei termini dello sviluppo ci conduce al “No e Sì” di René Spitz, aprendo alla dinamica processuale che consente al bambino la nascita della prima astrazione e la distinzione tra Sé e l’oggetto.
Ci avviciniamo così al campo delle relazioni sociali, al “né Sì- né No” di Winnicott nella costruzione di un’area transizionale, a Green con il No come opposizione alla richiesta di investimento narcisistico della madre e alla compiacenza del bambino. Un No quindi che si pone nella duplice direzione tra affermazione e negazione, nell’individuo, nella coppia e nelle relazioni sociali.
Inoltre, partendo dal No del negativo, dal “No, due volte No” di Pontalis, avviciniamo l’espressione della reazione terapeutica negativa e/o della risposta adattiva e collusiva, espressione dell’opposizione tra Conscio e Inconscio, che non consente la crescita né la rappresentazione e la rimozione, che può diventare la limitante espressione di un Super-Io sadico, opprimente e vincolante ogni forma di esperienza.
Movimenti che ci invitano ad elaborare quel lato oscuro del No quando attacca i legami portando all’assenza, al vuoto, al non riconoscimento di senso e di significato o alla sopraffazione e repressione, quando il limite e la regola diventano insindacabili affermazioni di un potere. In queste dimensioni la “scelta” si pone nel “o-o” (vita o morte, con me o contro di me). Il No della negazione così bypassa l’aspetto simbolico e rappresentativo, non consentendo la compresenza del diverso, del dubbio, e si predispone verso la deriva dell’uso dell’altro e di se stesso in un processo di “cosificazione” e di mortificazione.
In tedesco “verleugner” si riferisce al rifiutare, al rinnegare, mentre il lavoro psicoanalitico si orienta nell’accogliere, comprendere le dissonanze, riannodare, collegare, associare, distinguere per consentire l’emersione del trauma e/o delle sue tracce, per elaborarlo e riprendere uno spazio di vitalità. La negazione e il diniego, quando in eccesso, forse in una rigida staticità, possono portare verso la compromissione dell’esame di realtà e al congelamento della modalità del funzionamento psichico, nelle condizioni più estreme come il freezing, a un farsi morto per sopravvivere. Esperienze dolorose che ci mostra Ferenczi descrivendo i fenomeni di autotomia in cui un soggetto può scindere parti di sé fino a sentirle e renderle come morte, non funzionanti, parti che investono anche il proprio corpo nei suoi aspetti parziali o di tutto l’organismo. Espressioni che riconosciamo nella clinica quando si collocano nella relazione mente-corpo, sul versante del ritiro sociale e degli agiti senza pensiero.
Il No possiamo dire che entra nella vita dell’umano e si manifesta nel distinguere e riconoscere il tu, il noi e gli altri da Sé. Evoluzioni che riguardano l’individuo come i gruppi, consentendo lo svincolo e l’evoluzione da una posizione di adeguamento inglobante e confusiva tra le parti e il tutto, per andare verso un piano intrapsichico e interpsichico dell’individuo che si riconosce in un’appartenenza gruppale e culturale.
Sviluppi che richiedono un lavoro e una sinergia nell’incontro tra le parti e che, da una primitiva fusione, si permettono, quando le cose vanno bene, di evolvere vicendevolmente. Penso con questo alla primitiva relazione madre-bambino rispetto alla quale se possiamo dire con Winnicott (e ancora prima con Freud) che “non c’è un bambino senza una madre”, possiamo ugualmente dire specularmente che “non c’è una madre senza un bambino”. Un nucleo da cui entrambi i soggetti originano per venire alla costruzione dell’essere Sé.
Possiamo allora riconoscere i No come quei punti di repere da cui, in cui e attraverso cui si originano cambiamenti e trasformazioni che rappresentano diversi significati e funzioni: No che respingono, che vietano, reprimono, proteggono, che pongono limiti, proponendo un modo per prendere tempo e, nell’attesa, del presentarsi di un tempo nuovo, un tempo diverso e di elaborazione. Come al riguardo, nella storia della psicoanalisi freudiana, è memorabile il “noli me tangere” di Dora che pone un limite a Freud, e da cui ebbero origine gli ulteriori sviluppi della talking cure.
Freud nella costruzione della psicoanalisi riconosce quei No che prendono corpo ed espressione nelle difese, nelle resistenze, negli spostamenti, nei meccanismi che si oppongono all’accesso di quanto è non visibile perché inconscio e che teme di essere visto e toccato.
Nello stesso tempo non è proprio così perché il paziente che viene in psicoterapia, pur timoroso e difeso, esprime con il suo venire il bisogno, anche in modo inconsapevole, di essere avvicinato, seppur con cautela. Egli cerca quell’intesa “invisibile” che gli consenta l’apertura e la condivisione, il fare spazio per dare voce e trovare ascolto. Modi attraverso cui nell’incontro analista-paziente sia possibile dire, mettendo in parole, e non dire per poter ascoltare, sentire, per costruire un discorso nuovo e una nuova possibile narrazione.
Entrambi i soggetti, analista e paziente, nell’incontro hanno bisogno di protezione, garantendosi un’area in cui i loro movimenti emozionali, che possono spaventare quando presentano tumultuosamente quanto faticosamente tenuto a bada, possano evolvere. Questo permette l’installarsi di un’area intermedia condivisa che consente accessi, pone filtri para eccitatori e para stimoli sufficientemente funzionanti, per preservare equilibri interni altrimenti non tollerabili.
Un’area che si pone come quella “barriera di contatto”, di cui ci ha parlato Bion e che, similmente alla funzione del Preconscio, consente un transito modulato tra l’Inconscio e la Coscienza, tra la mente e il corpo, tra Sé e l’altro da Sé.
Difese, resistenze, spostamenti, negazioni, per evitare cosa? Angosce indicibili, impulsi violenti inammissibili, pulsioni in eccesso, memorie traumatiche, contenuti rimossi, un esterno troppo invadente o qualcosa di interno inavvicinabile perché appartenente all’Inconscio.
L’altro che si prende cura (dalla relazione più primitiva con la madre ambiente all’incontro analitico) deve poter modulare bisogni, desideri, passioni, curiosità, sentimenti dirompenti, affinché la psiche possa osare far spazio a qualcosa di nuovo, aprirsi alla vita, spingendosi in avanti per esplorare quanto non conosciuto, magari potendosi appoggiare ad un compagno di viaggio che guida e si fa garante della protezione e di non essere lasciati soli di fronte all’ignoto.
Un tema che ci impegna e stimola nell’evidenziare l’emersione e il riconoscimento dei diversi vertici di osservazione, nelle diverse esperienze teorico-cliniche.
Gli autori che hanno scritto per questo numero ci offrono una visuale ampia e variegata di letture psicoanalitiche e di riflessione sociale, stimolando pensieri e aperture verso la continua ricerca di nuovi significati.
In questo numero ricompaiono delle Sezioni come Frontiere e Work in progress per accogliere contributi vicini alla clinica attuale e alla psicoanalisi “di frontiera”, offrendo un’area di studio che invita alla ricerca.
Apre il numero la Sezione Lector in fabula in cui Rosa Romano Toscani con “Negare. Il lungo cammino del No” ci offre una cornice ed una panoramica teorico-clinica ampia del concetto della negazione, della genesi del No come organizzatore psichico e precursore dell’apprendimento, del riconoscimento del limite e di uno spazio terzo. Nella dettagliata disanima del tema e, con la presentazione di flash clinici molto significativi, mostra gli esiti nella psicopatologia dell’individuo, ma anche nelle derive sociali che portano alla sopraffazione dell’uno sull’altro fino al genocidio e al fenomeno dei femminicidi.
Segue la sezione Saggi in cui Giuseppe Romano con “Negazione e linguaggio: Strumenti di Trasformazione Psicoanalitica” ci offre idee e particolari suggestioni riguardo alla negazione sul piano della sua relazione con il linguaggio, come alla comprensione delle forme attuali della sofferenza psichica in condizioni di mancanza di limiti. Un pensiero sviluppato lungo la linea lacaniana, denso nella parte teorica e in quella clinica. Il tema della negazione viene presentato come nucleo della relazione analitica, mostrando il funzionamento del mondo interno del paziente e il linguaggio come mezzo per la costruzione della lettura interpretativa del significato inconscio di quanto emerge nella seduta analitica. Un lavoro che nella sua complessità resta fedele alla lettura metapsicologica freudiana.
Nell’Intervista la redazione dialoga con Paolo Di Benedetto, Gianpaolo Sasso e Giovanni Starace su “La funzione paterna 26 anni dopo Psicoterapia Psicoanalitica n. 2/1999”. Gli autori hanno partecipato con loro articoli al n. 2/1999 di Psicoterapia Psicoanalitica, un numero monografico sulla funzione paterna, e proprio con loro cerchiamo di cogliere il suo legame con la funzione del No, tenendo conto dei cambiamenti intercorsi in questi anni da allora sul piano dello sviluppo teorico e clinico. Una riflessione che va a comprendere aspetti e contenuti psicoanalitici, culturali, storici e sociali circa la funzione paterna nell’attualità.
La Sezione Frontiere accoglie due articoli molto interessanti e particolarmente significativi sul piano della ricerca scientifica psicoanalitica.
Esperienze cliniche che offrono stimolanti studi e osservazioni circa la nascita della mente, delle emozioni e sulle loro modalità di funzionamento.
Jeanne Magagna con “Migliorare la fiducia nella terapia intensiva neonatale: l’inizio racconta la storia” ci fa entrare in dialogo e in ascolto emozionale con il bambino nato pretermine e incontrato nella terapia intensiva, con i genitori e con i caregivers del reparto di cura.
Un invito ad entrare nel rapporto umano con il neonato pretermine, quando l’attenzione deve essere massima a tutela e garanzia della preservazione della vita. Una frontiera di ricerca per comprendere le origini della relazione mente-corpo, la teoria degli affetti e delle emozioni.
Uno stile di scrittura che coinvolge e dà voce al bambino, a cui si offre metaforicamente un’avvocata che espliciti i suoi bisogni e il suo sentire. L’autrice mostra quanto sia importante che i genitori e i caregivers che sono a contatto con il bambino siano presenti emozionalmente, avendo interiorizzato il senso di protezione e di comprensione compassionevole. Un contatto emozionale fondamentale perché il bambino possa accedere alla costruzione di un senso di sicurezza interna.
Marina Montagnini con “Non tutte le parole hanno voce” presenta uno studio legato ad esperienze cliniche e all’autobiografia di persone con disturbo autistico a funzionamento molto elevato. Una ricerca sul piano della organogenesi e psicogenesi, che sollecita a uno sforzo di comprensione e di osservazione clinica, importante nell’incontro psicoterapeutico di persone con autismo. Un’esperienza che richiede di tenere presenti i diversi aspetti da cui ha origine la sofferenza, e in quel No forse possiamo cogliere le barriere innate del neonato che intervengono per gestire l’integrazione e il trasferimento degli stimoli da un canale percettivo all’altro. Una sofferenza che investe la persona nel fare esperienza delle proprie senso-percezioni e nel distacco primario dal corpo materno. Molta attenzione è posta alle difficoltà di funzionamento paraeccitatorio della persona autistica che con le sue specifiche modalità di porsi nell’esperienza, particolarmente nella stanza d’analisi, possono mettere a dura prova l’analista.
La Sezione Scorci si apre con Ilaria Anzoise che con “Amleto e Otello: soggettivazione, identità migranti e letteratura” mette in dialogo la narrazione appassionante di un film che mostra le sofferenze di una ragazza immigrata di seconda generazione, con quelle di una giovane in un percorso clinico. Entrambe sono impegnate nel difficile lavoro di soggettivazione. Due protagoniste, osservate in contesti e da due vertici molto diversi tra loro, che consentono attraverso una rilettura di testi letterari e delle dinamiche intense nelle relazioni (filmiche e nella relazione analitica in corso) l’accesso alla risignificazione delle loro esperienze. Una processualità che prende forma per entrambe le protagoniste nell’approdo alla crescita soggettivante.
Filomena Forino con “Anna e il suo Teatro del Nō. Riflessioni sul negativismo a partire dalla psicoterapia con una bambina in età di latenza” ci fa entrare nel processo psicoterapeutico psicoanalitico con una bambina in età di latenza. Il testo propone la lettura del negativismo come messa in scena di angosce profonde, lette attraverso le preziose metafore del Teatro del Nō e del mito di Amaterasu, entrambe di origini giapponesi e che arricchiscono il caso clinico. Un’esperienza psicoanalitica che mostra come il contenitore analitico sia capace di promuovere l’espressione delle emozioni a partire da elementi che convocano aree primitive della mente, con una particolare attenzione a quel No quando si pone come “custode dei confini dell’identità”.
Nella Sezione Istituzioni Linda Belloni e Paola Catarci, con “Babyobservation e capacità negativa: osservare il processo, trovare l’essenza” ci offrono un lavoro tutto all'insegna dell'auto contenimento, della sospensione, dell’astinenza e dello sviluppo della capacità negativa, un elemento essenziale alla formazione di uno psicoterapeuta psicoanalitico. Un testo a quattro mani che si presenta con una buona e armonica integrazione tra chi è dentro, Allieva protagonista che osserva, e chi è fuori, Docente che ascolta e guida in modo partecipe. Una dinamica teorico-clinica che fa emergere la dimensione gruppale della mente, di cui fa parte il gruppo classe nel processo della B.O. e dell’apprendimento nella formazione. Un attento ascolto di Sé, dell’altro e del contesto che permette l’emergere della lettura, del riconoscimento e della messa in relazione dei transfert e del controtransfert nel vivo dell’esperienza.
Maria Grazia Minetti con “I limiti nel lavoro analitico e la supervisione: un confine instabile” affronta in modo non scontato il tema dell'onnipotenza dell'analista e della costruzione della sua capacità di riconoscere i propri limiti. Un arrivare a saper dire No quando l’analista si fa garante delle regole del setting, ma anche quando emerge la possibilità di non accettare alcuni pazienti quando si sentono troppo gravosi o troppo consonanti con le proprie tematiche interne. Un tema delicato e complesso che investe la formazione, l'etica, la responsabilità dello psicoterapeuta psicoanalitico, allievo o supervisore. Soggetti impegnati in un confronto ed elaborazione continua tra il Sì e il No, perché non si pensi che tutto sia sempre possibile.
In Intersezioni troviamo Filomena Auzino che con “R-esistere: il ponte del silenzio nel Mutismo Selettivo” apre una finestra sull'intervento con i bambini, dove il gioco e l'azione sono gli strumenti della relazione terapeutica. Un lavoro che ci fa vedere come evolve la lotta tra il Sì e il No attraverso la terapia Neuro e Psicomotoria in Età Evolutiva.
Una ricchezza dell'esperienza proposta è quella dell'esplicitazione del passaggio dalla diade al gruppo, dal familiare al sociale con l'entrata del terzo. Interessante il riconoscimento del pensiero di un No silenzioso, che acquista voce nei comportamenti a volte oppositivi, espressione di una R-Esistenza vitale. L’autrice chiarisce e mostra come il bambino mutacico e inibito coglie, in questa modalità dell’essere, la fuga da un moto pulsionale proibito, una difesa dall’Es piuttosto che dalla realtà.
Nella Sezione Work in Progress il Gruppo di studio “Sfumature in dialogo” con “Del corpo, del limite: evoluzione nel percorso di un gruppo di studio”, ci presenta un lavoro in continuità con l’articolo pubblicato nel n. 1/2022. Il testo amplia e sviluppa nuove varianti e visuali sociali, culturali, psicoanalitiche, legislative, politiche ed antropologiche, come corollario all’esperienza dell’incontro con persone, gruppi familiari, contesti sociali, in cui si manifestano e prendono forma differenziazioni riguardanti l’orientamento di genere e sessuale, con nuove configurazioni familiari, ruoli e forme di genitorialità.
Il gruppo esprime e sottolinea il limite della psicoanalisi che con i suoi paradigmi, la propria matrice culturale e i suoi confini, ha bisogno di cimentarsi con nuovi linguaggi. Una stimolante riflessione sulla difficoltà a trovare una terminologia adeguata per fenomeni che si presentano come nuovi e/o non del tutto compresi. Temi che il gruppo affronta con un approccio “possibilista”, visti i tanti studi ancora in corso. Il lavoro propone vertici di lettura e riflessioni attraverso studi antropologici, attivando uno stimolo a prestare attenzione a quel No che può discriminare, stigmatizzare e ghettizzare.
Nelle Recensioni vengono proposti i seguenti libri: Antonella Galeone per J. Mitchell, Fratriarcato
Andrea Guidantoni per G. Ripa Di Meana, Perché la guerra Maria Grazia Minetti per M.L. Algini, Viaggiare l’età tarda Marta Vigorelli per A. Ferruta, Una finestra sulla psicoanalisi Il numero conclude con il ricordo del caro collega Salvatore Capodieci, Socio Ordinario della SIPP, membro del Comitato di lettura e referee di Psicoterapia Psicoanalitica, prematuramente e inaspettatamente scomparso.
La Redazione tutta partecipa del dolore della famiglia e di quanti hanno avuto il privilegio di conoscerlo e apprezzarlo. Un collega amato e apprezzato da tutti e i Soci, i Diplomati e gli Allievi della Sezione Regionale Triveneto, di cui faceva parte, hanno voluto scrivere a firma unica il suo necrologio.
Auguro a tutti una buona lettura.
* Socio ordinario SIPP con FT, Direttore di Psicoterapia Psicoanalitica, Via Tuscolana, 1478, 00174, Roma (RM).
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