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Adele Maugeri. Editoriale di Psicoterapia Psicoanalitica n. 2/2023

Adele Maugeri. Editoriale di Psicoterapia Psicoanalitica n. 2/2023 - "Tracce"

Adele Maugeri*

Il tema che ci siamo disposti e impegnati ad esplorare in questo numero ha stimolato molte associazioni e approfondimenti circa la definizione del termine “tracce”. La prima associazione che propongo è che l’uscita di questo numero coincide con la ricorrenza del trentennale di Psicoterapia Psicoanalitica e non possiamo non vedere quanta strada abbiamo percorso, quanta ricchezza di contributi siano stati raccolti, che invitiamo e sollecitiamo a rileggere o a leggere per chi non lo avesse fatto. Una rivisitazione dei lavori di quanti hanno scritto prima di noi, per trovarne il valore, la vitalità dei loro pensieri, in cui ci riconosciamo e che ci fanno ancora interrogare.

I diversi articoli di questo numero sono attraversati da un fil rouge che ci permette di riconoscere il loro indagare, osservare e rintracciare elementi del modo di funzionare del pensiero dell’individuo e dei gruppi.

La psicoanalisi fonda la propria epistemologia, modello di conscenza e di cura, nel riconoscimento dell’Inconscio, ponendo attenzione a quanto non evidente, per cogliere quegli elementi che in esso sono custoditi perché restino nascosti o perché in attesa di essere svelati.

«(...) L’analista deve scoprire, o per essere esatti costruire il mate- riale dimenticato a partire dalle tracce che quest’ultimo ha lasciato dietro di sé (...)» (Freud, 1937, 77).

Viviamo in un’epoca in cui il tempo scorre con una velocità che non ci permette di metabolizzare i cambiamenti repentini che continuamente si presentano, spingendo verso una fuga in avanti. Può allora essere importante rallentare, volgere lo sguardo indietro, per non smarrire quelle tracce che richiamano ad una continuità e chiedono pause per essere viste.

I nuovi mezzi tecnologici e multimediali che ci immettono in un tempo e in un luogo altro, facendoci fare esperienze a volte estranianti, in cui si può smarrire la percezione del senso di Sé, mostrano però e permettono anche nuovi sviluppi, possibilità di essere nell’esperienza sollecitando sempre nuovi interrogativi.

Dobbiamo poter oscillare tra progressione e regressione per mante- nere una evoluzione, attraversando sentimenti ed emozioni a volte eccitanti e vitalizzanti, altre volte spaventosi. Penso alla feconda proposta di Bion che è proprio in questa oscillazione PS↔D che si può fare salva la creatività e l’incontro con il nuovo.

Essere psicoanalista muove sempre verso la continua ricerca di Sé, dell’altro e della relazione tra loro. Una ricerca che non è dato sapere cosa potrà portare a trovare o ritrovare. Un movimento continuo che associativamente sovrappone in modo dinamico passato, presente e futuro, un processo che riconosciamo in quella Memoria del futuro che metaforicamente ci propone Bion (1975) nella sua trilogia.

Un tema che apre ad aspetti metapsicologici, agli studi sul trauma, alla relazione tra mondo interno e mondo esterno, alla trasmissione transgenerazionale, alla modalità somatopsichica di essere nell’esperienza, agli studi sulla memoria e all’espressione artistica, argomenti che sono proposti dagli autori degli articoli di questo numero. Un’area di studio che esplora quei frammenti, dettagli, cose e non cose che custodiamo, cerchiamo e trasformiamo perché si possano esprimere, elaborare per divenire un pensiero. Esperienze che implicano modalità di funzionamento tipiche dell’Inconscio rimosso e di quello più arcaico che si colloca nel soma. Impronte che possono rendere visibile qualcosa quando sono incontrate da qualcuno che può “tradurre” quei segni, quelle tracce, parlare quel dialetto, riconoscendo l’esserci di un sapere ancora da indagare, a cui dare spazio e accoglimento. Contenuti alla ricerca di un significato, che incontriamo nelle relazioni sociali, nella storia, nella cultura, espressioni del processo evolutivo dell’individuo, di un gruppo sociale, di una coppia terapeutica. Frammenti che si presentano nei sogni narrati come nella dimensione sognante dello spazio psicoanalitico, che includono azioni, movimenti che, nella ri- petizione e nel ripresentarsi nella stanza d’analisi, sono alla ricerca di un accoglimento per un possibile riconoscimento. Il vertice psicoanalitico si offre come una sonda capace di sentire e cogliere significati di quanto lì accade o non accade, un luogo in cui si cerca e si fugge da un possibile incontro con se stessi e con l’altro, in quel limite che unisce, separa, ma che può anche scomparire.

Una incessante ricerca verso la conoscenza di un significato che muta continuamente facendoci interrogare su cosa ci muove in questo lavoro impossibile in cui incontriamo il dolore, la paura, il non senso, mantenendo sempre viva la curiosità e la possibilità di farci sorprendere. Il desiderio di conoscere ci spinge verso il nuovo, a interrogarci circa cosa sia accaduto o stia accadendo, per coltivare l’illusione di cogliere la verità, anche ricorrendo all’immaginazione quando ci troviamo di fronte ad una mancanza, a tracce incomplete o frammentate, a lacune troppo profonde ed ampie.

Un difficile lavoro per il quale Freud (1907) ne La gradiva suggerisce di prendere a modello un “doppio senso”: quello attribuito al delirio e quello proprio della realtà, andando così ad ampliare lo spazio analitico, consapevoli che la vastità delle aree inesplorate può essere grande quanto le aree di immaturità che si potranno esperire.

Mi viene da dire, un po’ parafrasando Bion, che ci cimentiamo con un pensiero in cerca di un pensatore, ma che questo può essere spesso sovraccarico di una prematura conoscenza.

Il paziente che arriva in analisi può aver smarrito la memoria di cosa lo ha portato fin là, ma è alla ricerca di qualcuno con cui essere in quella esperienza, qualcuno che sappia cogliere quei segnali, indizi che possano avvicinare elementi rimossi, mai venuti ad essere o di crearne di nuovi per poi procedere nella vita. Un percorso che può condurre a memorie inscritte somaticamente e che sono alla ricerca di un contenitore in cui poter essere accolte, depositate, nell’attesa di evoluzioni e trasformazioni verso una inedita conoscenza, affrancandosi dalla ripetizione inibente e mortifera.

La relazione analitica permette di contattare e, quando le cose vanno bene, far evolvere aree a volte sopite o sconosciute, sia per l’analista che per i pazienti, condividendo storie, sentimenti, emozioni, che nel qui e ora dell’esperienza consentono ad entrambi di costruire dentro di sé una presenza dialogante che continua anche oltre l’incontro della seduta.

Il paziente parla di Sé, racconta un sogno, si muove in modo scomposto, la sua pancia emette borbottii, si addormenta o altro, segnali che permettono metaforicamente all’analista di vedere, sentire, riconoscere, una risonanza o un rispecchiamento. Si avvia così una semiosi capace di trasformarsi in una narrazione, di dischiudersi a movimenti in cui l’uno può inconsciamente confondersi con l’altro, ma anche trovare ognuno qualcosa di Sé. Necessario allora saper sostare, tollerando la confusione, il non sapere, accecandosi quando c’è troppa luce, muovendosi con cura, senza mai abdicare alla propria funzione di terzo che guida e sostiene. Può anche accadere che l’uno possa percepire nell’altro il proprio oggetto perduto, e solo l’attivazione di una funzione organizzativa e rappresentativa della realtà interna rispetto a quella esterna, del soggettivo e dell’oggettivo, può preservare dalla sovrapposizione illusoria e confusiva della fantasia inconscia. Si realizzano così continui passaggi da un soggetto all’altro, dal corporeo al men- tale, transiti accompagnati da vissuti emozionali favorenti o inibenti l’integrazione degli elementi percettivi con quelli rappresentazionali e significanti che riguardano i due soggetti della coppia al lavoro.

Gli autori che hanno scritto per questo numero ci offrono contributi che, partendo da questi vertici dell’esperienza psicoanalitica, spaziano in un range ampio di ricerca, con angoli di osservazioni originali e diversificati di cui propongo brevi stimoli per un invito alla lettura.

In Lector in fabula, Maurizio Balsamo con “Quale realtà per la traccia?” ci propone una ricchezza di contenuti e approfondisce i concetti relativi alle tracce come segnali dei processi di civiltà o come esiti di un disastro. Elementi che si presentano in après coup ripetutamente nella vita psichica, spesso sganciati dalla loro identità originaria, come nella messa in scena di un ricordo schermo, una forma mascherata, risultato di un non tradotto primario o secondario alla ricerca di una risignificazione. L’autore si pone e ci pone una serie di interrogativi circa il valore per la cura delle invarianti che si presentano, e rinviano ripetutamente, a una rete di significati, apparentemente irriconoscibili, testimonianza del ritorno di frammenti di un rimosso o di qualcosa che non è stato vissuto. Un messaggio inconscio che chiede di venire alla luce per essere ‘digerito’, ma anche una scena che, nel difetto di trascrizione, può creare un nuovo trauma. Ci parla inoltre di quella polifonia di voci interne, dei miti depositati nel soggetto, che chiedono all’analisi di farsene carico.

Nella Sezione Saggi troviamo due articoli ognuno dei quali apre finestre su panorami scientifici e linguaggi originali molto diversi tra loro.

Silva Oliva nel suo articolo “Jànos Bolyai. Il pensiero schizofrenico di un matematico geniale” esplora il complesso funzionamento della mente umana cercando una relazione tra lo sviluppo di un pensiero schizofrenico e quello della intuizione geniale matematica. Per questo analizza la biografia di Jànos Bolyai (geniale e creativo matematico) il cui processo di pensiero sempre insaturo, lo porta ad un alto livello di astrazione e a nuove scoperte che hanno rivoluzionato il pensiero matematico. Un processo che però evolve anche verso la malattia mentale, il rifugiarsi in un mondo astratto fatto di idee e oggetti matematici.

L’autrice si richiama al pensiero di Ferenczi, al suo concetto di per- cezione endopsichica e dei fenomeni autosimbolici che vanno a gene- rare lo sviluppo dal principio del piacere al principio di realtà, e di Bion attraverso quelle tracce che segue la mente per arrivare all’asso- ciazione simbolica, consentendo la nascita dell’idea nuova e l’elabo- razione del lutto per l’incontro con la non-cosa e la frustrazione che ne deriva.

Mariangela Villa in “L’amore che avvolge. Tempo e Sé tra psicoanalisi e neuroscienze” ci offre un contributo teorico-clinico interessante, ricco e complesso in cui si indaga la correlazione tra alcuni concetti psicoanalitici con il contemporaneo funzionamento del sistema neurologico e biologico. Ci mostra la relazione tra il sistema neuropsicologico attivo nella “identificazione estrattiva” e gli stati multipli del Sé che vanno a convergere in un unico Sé coerente e continuo. Un lavoro dettagliato e articolato che si pone “tra” il vertice psicoanalitico e il corrispettivo funzionamento neuropsicoanalitico, soffermandosi sui disturbi del Sé nel suo evolvere continuamente nel tempo, costantemente in relazione con l’ambiente animato e non animato. Amplia questo concetto andando a cogliere un allineamento relazionale del Sé al mondo esterno, con le reti neurali che usano le tracce mnestiche del passato per preparare la mente alle esperienze future, in una piena corrispondenza mente-corpo come sistema unitario di funzionamento.

In Intersezioni, proponiamo due lavori che, appoggiandosi ad esperienze scientifiche, sviluppano la loro ricerca in ambiti diversi e con cui la psicoanalisi si pone in un dialogo creativo e stimolante.

Gustavo Delgado con “Suddivisione, separazione e organizzazione del suono: la stratificazione e le emozioni mediante la gestione delle tracce audio” presenta un contributo originale da un vertice di osservazione che è quello della musica elettronica intesa nella sua struttura dell’audio e del suono, esplorando il concetto di “tracce sonore”. Ci comunica gli studi delle moderne tecnologie sulla produzione di esperienze acustiche che arrivano a sfidare le consuete percezioni di ascolto, attraverso una gestione dettagliata di contenuti sonori, per arrivare ad un modello di ascolto interattivo attraverso il controllo virtuale delle tracce sonore. Un argomento molto tecnico che permette di avvicinare ricerche che studiano il suono nella sua relazione con le emozioni. Una riflessione sulla complessità della relazione del soggetto con l’ambiente sonoro e le relative tracce di connessione tra questo, il proprio mondo emotivo e il rapporto tra passato, presente e ambiente, fino alla immersione in quello che l’autore definisce un “paesaggio sonoro”.

Gabriella Bottini e Gerardo Salvato in “Tracce di Sé: come il cervello costruisce la consapevolezza corporea”, con il loro lavoro sullo stato della ricerca in ambito neuroscientifico e della neuropsicologia cognitiva, ci introducono a concetti relativi al rapporto del Sé con il corpo, alla matrice corporea, per arrivare alla “rappresentazione neurale dinamica” che consente il riconoscimento di un Sé corporeo. Un lavoro caratterizzato dall’approfondimento di aspetti di psicopatologia e neuropsicologia con la presentazione di casi clinici come esplicazione del concetto multicomponenziale della consapevolezza del Sé corporeo, imprescindibile per lo sviluppo dei processi cognitivi e affettivi, come per la produzione di comportamenti adattivi mettendo in relazione gli stimoli che provengono dall’ambiente e dal corpo.

In Scorci troviamo stimoli creativi e teorico-clinici del modo di essere psicoterapeuti psicoanalitici oggi.

Giuliana Amorfini con “Psicoanalisi e vestiti” ci offre un lavoro che alleggerisce e nel contempo arricchisce questo numero, con uno scritto elegante, attento ai particolari, attraverso uno studio del dettaglio dell’abito e del modo di vestire come espressione di un linguaggio dell’Inconscio e del clima di un’epoca. Uno scritto capace di comuni- care in modo delicato, denso di affettività, profondo e originale,

elementi della storia e della bellezza al tempo della nascita della psicoanalisi, facendoci entrare negli ambiti privati di un periodo ricco di fermenti scientifici, artistici e culturali. L’autrice ci fa incontrare rap- presentanti del primo Novecento che dialogano nei salotti di Vienna mostrando le tracce di un cambiamento di paradigma nel modo di concepire i sessi, la mente, il corpo, in una sorta di contaminazione creativa. Interessi libidici e della cura di Sé che ci avvicinano allo spazio privato dei grandi di allora e dello stesso Freud, correlando i cardini dell’eleganza con la possibilità di mostrare se stessi.

Anna Giavedoni nel suo lavoro “Sulle tracce del pensiero psicotico, nella clinica, nella teoria e nella poesia” utilizza le tracce poeti- che come chiave di lettura per comprendere il mondo interno veicolato dal pensiero psicotico, che può esprimersi in modo autentico e al con- tempo artistico. Preziosi flash clinici ci mostrano l’autrice nel rapporto analitico, e direi umano, con pazienti molto difficili in ambito istituzionale, attenta a cogliere i minimi e svariati moti dell’anima per comprendere la loro storia interiore. Il lavoro si snoda contrassegnato dalle citazioni poetiche di un suo paziente, come indizi che possono coniugare la riflessione su quanto di emozionale vi è sotteso, che sorprende, lasciando paziente e analista alle prese con qualcosa di indecifrabile e di cui il paziente parla attraverso le sue poesie.

Rosita Lappi, Giulia Cesana, Ivan Gargiulo, Daniela Matranga, Marta Mommarelli, Stefania Squizzato e Melissa Zanardi in “La cura del dettaglio. Ricerca e scrittura clinica in psicoanalisi” accostano il termine “traccia” a quello di “particolare”, volendo intendere quella miriade di fatti che accadono in seduta nella relazione con il paziente e che, se colte, illuminano, danno sostanza e voce all’Inconscio aprendo nuove prospettive. Un gruppo (una Docente con i suoi allievi) che scrive riuscendo ad esprimere un pensiero comune in modo originale, attento al “dettaglio” nel suo entrare nello sviluppo processuale psicoterapeutico. Ci dicono di come i sensi analitici si affinano per cogliere quegli “scarti” che si verificano nel campo analitico e che nell’esperienza permettono la possibilità di un cambiamento. Guardare all’inezia, senza cadere nella ricerca ossessiva, con attenzione ed elasticità tanto al dettaglio quanto al tutto, fino a cogliere quel “pulviscolo” che evoca uno spazio transizionale condiviso.

Anna Sabatini Scalmati con “Crisi dei Garanti Metapsichici e Sociali: difese contro la realtà e il pensiero” ci immette necessariamente nella storia, nel sociale e direi nel politico. Di fronte agli eventi storici attuali, non poteva mancare questo sguardo che va a rintracciare una memoria che con coraggio l’autrice esprime, mettendo in primo piano gli effetti distruttivi della pulsione di morte. Una condizione della natura umana che segue imperturbabile quel solco che cammina lungo una traccia non sempre visibile, attraversando epoche storiche, per emergere poi violentemente in modo eclatante portando morte e distruzione, gravando sul mondo intrapsichico, intersoggettivo e sociale, con la messa in crisi dei valori della civilizzazione e dei garanti sociali, generando la formazione nella società di alleanze alienanti, difese contro il principio di realtà e il pensiero. Uno scritto che “tocca” e fa discutere, colpisce, facendoci sentire l’amaro monito che invita a riconoscere quelle tracce che segnalano il rischio della ripetizione, in un dramma della storia. Un testo che coniuga la storia degli eventi sociali con quelli della vita privata e della psicoanalisi di Freud in dialogo con i pensatori della sua epoca.

Elisabetta Berardi e Cinzia Morselli in “Il racconto dei racconti. Trasformazioni narrative in due giovani pazienti” riflettono sul ruolo della scrittura che i pazienti utilizzano a latere del lavoro psicoterapeutico, ponendo l’accento sulla correlazione tra questa espressione e la narrazione verbale che avviene nella stanza d’analisi. Si soffermano sulla questione della genesi psichica che può passare attraverso lo “scrivere storie” in una dimensione tra l’indicibile e il dicibile quando si è di fronte ad un trauma soverchiante. Storie che permettono di bonificare contenuti mortiferi, di diminuire le difese persecutorie e sadiche, consentendo l’emergere di elementi di tenerezza grazie al contenimento del setting. Le autrici indagano l’evolversi delle memorie che possono essere ritrovate ed elaborate attraverso una scrittura che di- venta racconto, passando attraverso l’accoglimento dell’immagina- zione.

Moreno Mattioli e Giurita Zoena in “Tracce di vita nei percorsi di psicoterapia psicoanalitica” focalizzano il loro lavoro su un caso clinico che può mostrare l’interruzione della trasmissione intergenerazionale di un trauma, resa possibile attraverso il cogliere l’emersione di tracce che si esprimono in alcuni aspetti dissociativi. Propongono una modalità di essere nella relazione analitica che, nell’accoglimento, consente l’espressione della dinamica transfert-controtransfert e, attraverso la mente dell’analista, poter pensare per trasformare il vissuto di traumi e ferite, andando verso quanto è impronunciabile (il nome della terapeuta) per invertire così il flusso proiettivo, dando spazio al riconoscimento e alla rivitalizzazione di aspetti del Sé sentiti come agonizzanti.

Seguono le Recensioni di quattro libri pubblicati recentemente e curate da Lorenzo Vinci, Cristina Ciuffa, Maria Grazia Minetti, Ilaria Anzoise.

Per la rubrica In memoria di Paolo Di Benedetto ricorda per noi la cara Ignazia Azzaro, facendoci vivere la sua personalità discreta, elegante, profonda nei suoi sentimenti, come studiosa competente e presenza storica nella SIPP.

Infine proponiamo una modifica rispetto al tema che viene proposto per i prossimi numeri, indichiamo cioè due temi: uno per il n.1/2024 e l’altro per il n. 2/2024, per consentire a quanti, pur desiderando scrivere per pubblicare, possono aver bisogno di un tempo più lungo per elaborare un lavoro di scrittura.

Auguro una buona lettura


* Socio ordinario SIPP con funzioni di training, Direttore di Psicoterapia Psicoanalitica, Via Tuscolana, 1478, Roma (RM).

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