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GUIDO BENZONI. IL RICHIAMO DELLA MONTAGNA, DI MATTEO RIGHETTO

 
 
Matteo Righetto è uno dei “Romanzieri di Montagna” contemporanei più affermati nel panorama italiano.  
La sua produzione letteraria prende l’avvio nel 2012 con l’uscita di “Savana Padana” (Tea, 2012), dove già emerge una voce narrante che trova sempre più potenza evocativa nei suoi scritti successivi, a partire da “La pelle dell’Orso”, romanzo del 2013 da cui è stato anche tratto un film interpretato da Marco Paolini.  
Matteo Righetto ha successivamente scritto la “Trilogia della Patria” edita da Mondadori (“L’anima della Frontiera” del 2017, “L’ultima patria del 2018 e “La terra promessa” del 2019), una trilogia divenuta un caso letterario, tradotta in molti Paesi  tra cui gli USA, la Gran Bretagna, il Canada, l’Australia, la Germania e l’Olanda.  
Devo premettere che conosco e stimo Matteo Righetto, che considero un “Autore Militante”, il quale vive appassionatamente la montagna. I suoi romanzi sono l’esito di una immersione culturale e di vita autentica nel territorio Dolomitico, in un periodo storico dove, citando il titolo di un testo del filosofo sudcoreano Byung Chul Han, ci troviamo immersi nella dimensione delle “Non Cose” (2022), in una “rivoluzione digitale” che corrode e minaccia non solo il nostro senso di umanità ma anche il nostro contatto autentico con la nostra interiorità. 
Matteo Righetto vive molti mesi dell’anno a Colle Santa Lucia, un delizioso paese dolomitico, a me caro, in Val fiorentina, una Valle incastonata tra due celebri cattedrali di Roccia: il Monte Pelmo, presente nella copertina del Saggio, e il Monte Civetta, la cui parete Nord, una parete che si staglia in modo impressionante in verticale per oltre  1000 metri, è una delle più alte delle Dolomiti. 
Nel suo ultimo romanzo pubblicato nel 2024 e intitolato “Il sentiero selvatico” si ritrova in modo chiaro una dimensione anagogica nella sua voce narrante; questa dimensione riguarda la  creazione, in particolare, di un personaggio, la bambina Tina Thaler, che aveva la  capacità di “sentire”, una capacità simile a quella degli animali selvatici, in antitesi con gli abitanti del suo paese di alta montagna che, già allora, all’inizio del ‘900 (l’epoca di ambientazione del romanzo è durante la Grande Guerra) avevano invece della montagna  una visione solo utilitaristica e concreta. 
Questa dimensione utilitaristica e concreta poneva le basi, forse, per l’approccio aggressivo e distruttivo che l’essere umano ha, successivamente, utilizzato non solo contro l’ambiente montano, ma nell’approccio allo sfruttamento delle risorse naturali del nostro intero pianeta.  
Si potrebbe dire che Tina Thaler, la bambina che Matteo Righetto aveva appunto  provvisto di un “istinto selvatico”, avesse delle somiglianze con l’affinamento  progressivo che abbiamo sviluppato nei decenni nella Psicoanalisi e nella Psicoterapia  Psicoanalitica, della nostra peculiare capacità analitica di “sentire”, quella sensibilità  “controtransferale”, quello strumento di lavoro che ci consente, come preziosa cartina  di tornasole, di entrare in dialogo e in risonanza con l’inconscio del paziente e i  “demoni ancestrali” della propria storia di vita. 
I temi ed i valori trattati nella produzione letteraria di Matteo Righetto trovano dunque una naturale ed esplicita traduzione nel saggio intitolato “Il richiamo della Montagna”, uscito nel mese di Febbraio 2025, sempre per la casa editrice Feltrinelli.  
Questo breve ma molto incisivo saggio, di notevole forza evocativa, condensa il pensiero, i valori, l’etica di Matteo Righetto: il suo forte richiamo ecologista e il suo amore non solo per la Montagna in quanto tale, ma il suo modo di intenderla e di viverla con un rispetto che definirei sacro e, insieme, poetico. 
Il saggio ha avuto un successo immediato di vendite ed è già in ristampa, ad appena un mese dalla sua uscita. Questo rappresenta un buon segno perché Matteo Righetto è certamente un narratore di successo, ma egli ama affermare con passione, in modo autentico, il proprio pensiero e non compiacere il proprio lettore.  
I valori latenti espressi in modo crescente nella sua produzione letteraria trovano una piena, e matura, espressione in questo piccolo, ma potente manifesto, in cui viene esplorata, nella prima parte, la dimensione della terribile crisi climatica che stiamo attraversando e che Matteo Righetto inquadra parlando della grave malattia in cui versa la montagna, in questo caso la montagna dolomitica. 
Nella seconda parte del saggio si dà invece voce alla speranza, secondo una via selvatica, ma anche “salvatica” (dice Matteo Righetto, citando Mario Rigoni Stern) che non suggerisce la “fuga mundi”, la via dell’eremitaggio”, quanto indicare, in modo convinto, una strada nuova di un nuovo modo di vivere e convivere con l’ambiente montano. 
Matteo Righetto offre al lettore una possibile alternativa di intendere la montagna con una visione in controtendenza al mainstream contemporaneo, un condensato di consumismo, edonismo, prestazione, un mix di valori e un modello di sviluppo turbo capitalistico, ormai chiaramente affermato da decenni, centrato sul “tutto e subito” e sul “godimento individuale del soggetto”.  
Il clima del nostro Pianeta è oggi sotto attacco non tanto dal “Cambiamento Climatico” (bisogna fare attenzione all’uso delle parole e delle loro conseguenze, sembra ricordare costantemente in modo pervicace Righetto nel suo scritto), quanto dal “Riscaldamento Globale”.  
Il fenomeno del “Global Warming”, provocato dall’uomo in un modello di “sviluppo”, un sistema di produzione, che non mostra né revisioni critiche collettive ormai da decenni e neppure un consenso nel rispetto dei limiti di sostenibilità dello sfruttamento delle risorse naturali, rende così il fenomeno del cambiamento climatico una drammatica conseguenza del processo di riscaldamento atmosferico. 
Matteo riporta due sintomi della malattia grave in cui versa la montagna che conosce,  di portata clamorosa degli ultimi anni: la tempesta di vento” Vaia” (di fine Ottobre  2018), che ha letteralmente distrutto e violentato diversi versanti delle vallate  dolomitiche, sradicando migliaia di alberi, versanti boschivi, con raffiche di vento superiori ai 200 Km/h e il crollo del Seracco della Marmolada (3 luglio 2022), un  mastodontico crollo avvenuto dopo un lungo periodo primaverile ed estivo connotato da temperature caldissime, che ha causato tragicamente diverse vittime, sparite nel nulla. 
Il ritiro del ghiacciaio della Marmolada è il simbolo del ritiro inevitabile di tutti i ghiacciai Alpini. I ritmi del suo ritiro garantiscono al ghiacciaio ancora vita solo per un paio di decenni, ci ricorda Righetto. 
L’Autore a questo proposito ricorda: “Non importa se ciò che si fa a danno della natura dura un istante o è solo un piccolo gesto. Sono gli effetti che contano, e a volte questi si manifestano molto, moltissimo tempo dopo. E possono essere devastanti”¹. 
Il punto centrato da Righetto riguarda appunto il rapporto che abbiamo con la malattia, in questo caso una malattia dal decorso inarrestabile (gli scienziati in modo incontrovertibile ricordano come possiamo forse ormai solo rallentare il corso del riscaldamento del pianeta Terra, ma non invertirlo). 
Il fuoco della esplorazione nello scritto si avventura nei meccanismi di negazione, individuale e collettiva, a cui l’autore dà voce attraverso Silvetro di Tai Bon Agordino,  uno dei personaggi del saggio di Righetto che entra in questa schiera. 
Chi ze el genio che l’ha dit che l’ambiente naturale siamo noi?” ripete Silvestro (uno dei due personaggi, insieme alla végia Agata, voci narranti del saggio) con sarcasmo.  
Il negazionismo dei processi distruttivi in atto si accompagna ad un modello consumistico che non mostra segni di cedimento, considera l’autore, continuando a utilizzare la montagna come una sorta di “Disneyland” inarrestabile.
Si continua, osserva amaramente ma in modo pugnace Righetto, perseguendo una strada che disumanizza, puntando solo al fine della monetizzazione dell’ambiente. Una spirale distruttiva, una inarrestabile colata di cemento e deforestazione per nuove piste da sci su neve artificiale, che avanza a scapito di tutti i segnali non più di allarme ma di drammatica evidenza. 
Molti filosofi, etologi, scienziati, economisti e anche alcuni psicoanalisti denunciano non solo la crisi climatica in atto ma anche i processi di disumanizzazione crescente caratteristici dell’epoca contemporanea e i loro pericoli.  
Cito a titolo di esempio, la “Società senza Dolore” (2021) che ha illustrato, e denunciato nuovamente, in tanti saggi il filosofo sudcoreano Byung Chul Han, oppure  l’interrogativo che pone lo Psicoanalista e Filosofo Argentino Miguel Benasayag nel  testo “Funzionare o esistere?” (2018); Benasayag osserva, in sintesi, come le fragilità  umane vengano stigmatizzate come intoppi nella realizzazione del “qui ed ora” impregnando la nostra esistenza, avendo come conseguenza un pervasivo senso di  angoscia e paura del futuro. 
Resta però aperto il tema della Speranza che Righetto esplora nella seconda parte del Saggio e esprime con queste parole citando Agata, la vègia di montagna, la seconda protagonista narrativa del Saggio, cui l’Autore dà parola insieme con Silvestro. 
Dice Righetto: “Poiesis e mistica ci riportano dunque ad un ancestrale ‘animus silvaticus’ e, di conseguenza, a un nuovo, contemporaneo afflato che potremmo definire ethos ecologico…e quello il momento in cui, proprio come la vègia Agata,  vengono toccate delle corde che abbiamo nell’animo non sappiamo bene dove. Una visione. L’attimo in cui percepiamo, avvertiamo un richiamo avito, che ci riporta nella profondità di quello spirito selvatico unitario che legava esseri umani e Terra nella notte dei Tempi”².
Matteo Righetto parla quindi di un messaggio di speranza, lo stesso messaggio di speranza che in fondo cercano di esplorare, con percorsi concettuali naturalmente diversi, anche gli Autori che ho precedentemente citato. Il filosofo Byung Chul Han, ad esempio, nel suo ultimo lavoro intitolato “Contro La società dell’angoscia” (2025) ricorda come la speranza può farci recuperare quel vivere che è qualcosa in più del sopravvivere, in una società pervasa da un sentimento di angoscia.
La speranza di cui parla Righetto riguarda un nuovo modo di vivere la montagna, di ritrovare un senso del limite, ma anche guadagnare, nel nostro gergo, una sana “posizione depressiva” come direbbe Melanie Klein. 
La speranza assume quindi una possibilità vitale e vitalizzante, come ad esempio la  capacità di riconnetterci con lo smarrito sentimento selvatico, schiacciato dal nostro addomesticamento; ha il senso di riprovare ad uscire da quella dimensione, che Righetto ricorda, dei “dieci secondi” (il tempo di uno scroll digitale sul nostro telefonino e  di un selfie che deviano costantemente e attentano alla nostra capacità di pensare e, cognitivamente alla nostra capacità di concentrarci) e di godere appieno del sentimento presente, di nuovo però inseriti in un tempo circolare. 
Un messaggio di consolazione non molto dissimile a quello espresso da Freud nello scritto Caducità (1915), quando afferma a proposito del passare del tempo: “E se un fiore fiorisce una sola notte, non per questo la sua fioritura ci apparirà meno splendida …il valore di tutta questa bellezza e perfezione è determinato soltanto per la nostra sensibilità viva…”³. 
Il “Richiamo della Montagna” ci riporta in una dimensione diversa di risintonizzazione con la Natura, come chiave di speranza per una nuova possibile via di umanità, capace di “osservare e sentire”, e non utilizzare, performare e aggredire.  
E’ una capacità poetica che lascio scorrere nelle parole espresse da Righetto alla fine del suo Saggio: “Quando aspettiamo da tempo la pioggia e poi finalmente ne ascoltiamo il suono e così poi, quando in cielo spunta un arcobaleno. Accade ogni volta che si riaccende in noi quell’antico spirito selvatico, quella nostra vera natura che abbiamo soffocato, violentato, reciso, addomesticando artificialmente le nostre esistenze, intossicandole di sovrastrutture nelle quali abbiamo ingabbiato il fuoco sacro della nostra umanità”⁴.
È la stessa porta che lasciano aperta la Psicoanalisi e la Psicoterapia Psicoanalitica restando pratiche vive ed attive, sia come funzioni critiche controcorrente nell’epoca contemporanea, sia come opportunità di cura e anche arricchimento di pensiero, in un mondo che cambia velocemente. 
Il messaggio e il richiamo posto da Matteo Righetto, uno scrittore di montagna appassionato e militante è, secondo me, da ascoltare con attenzione; in molti, e questo dà speranza, stanno dando credito al “Richiamo della Montagna”. 
Maria Mosca, nella conclusione di un suo scritto del 2024, molto interessante, afferma: “Anche i  segnali presenti nel sogno, spesso funzionano come i fiori del biancospino, sono  dislocati e non integrati al contesto, e quando la Primavera esploderà saranno già  sfioriti in quanto il compito è stato quello di essere un segno vitale di speranza”⁵.
Vale la pena di ricordare quanto può essere importante, come riflette Matteo Righetto nel suo saggio, maturare una cura e sensibilità diversa con il nostro “ambiente terrestre”, in questo caso la Montagna; a me sembra che il suo Saggio possa rappresentare, proprio come un fiore di biancospino, un contributo dato alla speranza verso la direzione di un recupero di un diverso senso del nostro esistere, non per funzionare ma per Essere nel mondo, rispettandosi e rispettandolo. 
 
¹ M. Righetto “Il Richiamo della Montagna” Feltrinelli (2025) Pag.53
²  Pag. Matteo Righetto “Il Richiamo della montagna” (2025) Feltrinelli Milano
³ Sigmund Freud “Caducità” Opere Bollati Boringhieri Torino Volume 8 pag. 174
⁴ Matteo Righetto “Il Richiamo della Montagna” Feltrinelli Milano Pag.117
⁵ Pag. 8 Maria Mosca “La Speranza come principio psicoanalitico indiscusso”. Letto al Convegno Nazionale SIPP Roma del 18-20 Ottobre 2024 “Etica-mente; La Psicoanalisi tra Violenza e Speranza
 
Bibliografia 
Byung Chul Han “La società senza dolore” Einaudi Torino (2021) 
Byung Chul Han “Contro la società della angoscia” Einaudi Torino (2025)
M. Benasayag “Funzionare o esistere?” Vita e Pensiero Milano (2018)
S. Freud “Caducità”, OSF, Vol. 8 Boringhieri Torino (1915) 
M. Mosca “La speranza come principio psicoanalitico indiscusso” (2024) letto al Congresso Nazionale SIPP, 2024, 
M. Righetto “Il sentiero selvatico” Feltrinelli Milano (2024)

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