GIURITA ZOENA. PSICOLOGIA DELL'IDENTITÁ DI GENERE, DI VINCENZO BOCHICCHIO E CRISTIANO SCANDURRA
INTERVISTA AGLI AUTORI
Conversare con due autori che hanno dedicato gli ultimi dieci anni della propria attività professionale agli studi di genere è stata un’esperienza fondamentale e necessaria, soprattutto se si considera quanto nel corso dei secoli l’ambito legato all’identità e alla sessualità sia stato dominato in modo quasi esclusivo da una volontà di controllo e repressione da parte sia di istituzioni religiose che secolari.
Vincenzo Bochicchio è filosofo, psicologo e psicoterapeuta, docente di “Fondamenti di psicologia dinamica” e “Teoria e metodi della psicoanalisi” nel Dipartimento di Studi umanistici dell’Università della Calabria, mentre Cristiano Scandurra, è psicologo, già dottore di ricerca in Studi di genere, psicoterapeuta psicoanalitico SIPP, docente di “Psicologia clinica” presso il dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli “Federico II”.
In merito a questo interessante tema soltanto da duecento anni circa alcuni atteggiamenti si sono modificati e, come sostiene Foucault (1976), identità di genere e sessualità sono diventate oggetto di volontà di sapere, oltre che di volontà di potere. Se il potere avesse continuato a funzionare quasi esclusivamente come divieto, non avrebbe potuto mai produrre argomentazioni che fossero incentrate sulla ricerca della veridicità e dell’autenticità nell’ambito del discorso identitario e sessuale; invece in tempi recenti abbiamo potuto assistere a ciò che il filosofo francese chiama “esplosione discorsiva”, movimento questo che ha posto il corpo al centro della riflessione, rendendolo oggetto d’intervento, di modificazione e di produzione, e iscrivendolo sia all’interno delle strategie del diritto e della legge che in quelle relazionali.
Inoltre, seguendo la sua lezione, la Butler (1993) ha ampliato la riflessione guardando alla costruzione del soggetto sessuato e desiderante come costrutto culturale derivato dalla ripetizione nel tempo di atti corporei stilizzati e non come frutto di una scelta. Ciò significa che attraverso la modalità iterattiva (procedimento per cui si giunge ad un risultato grazie alla ripetizione di alcune operazioni), il soggetto sessuato si costituisce come “naturale”, mentre il genere, il sesso e la sessualità si caratterizzano come fenomeni performativi.
Quando si parla di identità di genere, si ha come la sensazione di entrare in punta di piedi in un sacrario nel quale viene custodito un sapere accessibile ancora a pochi e del quale si deve parlare piano e con cautela. La conoscenza che concerne questo vasto ed interessantissimo tema non sembra ancora essere stata sistematizzata, spesso il linguaggio, degli addetti ai lavori e non, risulta ancora molto confuso e confondente: tutti, esperti e non esperti, studiosi e profani, sembrano poter dire la propria opinione in merito, presentandola con le vesti della verità.
Ascoltare la voce di due professionisti allora sembra quasi un atto pionieristico e rivoluzionario, fuori dal coro, che si accompagna al desiderio di ricerca che traghetta verso un ampliamento e arricchimento di prospettive necessario alla pratica clinica e anche all’urgenza di essere vicini ai nostri pazienti, non solo con gli strumenti forniti dalla capacità empatica ma anche con quelli derivati dalla scienza e dallo studio.
Zoena: Come nasce questo libro?
Scandurra: Entrambi ci siamo sempre occupati di studi sull’identità di genere. Io sono partito dalla mia tesi di laurea, che portava il titolo “Il transessualismo” e ho continuato lavorando in un ambulatorio, fondato negli anni ‘90 dal professor Valerio al Policlinico di Napoli, dedicato a tutte quelle persone che vivevano uno specifico disagio, ovvero non si riconoscevano nel proprio corpo. Ho cominciato così ad incontrare quel malessere psicologico così profondo, derivato non solo dal desiderio di cambiare il proprio corpo, ma anche dal peso della discriminazione e del condizionamento sociale, tanto da spingermi successivamente a intraprendere il dottorato di ricerca proprio sugli studi di genere. Tale esperienza mi ha portato ad occuparmi di altri temi altrettanto delicati quali la transfobia e l’attaccamento adulto.
Bochicchio: Ad un certo punto ci siamo fermamente convinti che ci fosse bisogno di questo libro. Entrambi siamo docenti universitari e negli anni ci siamo resi conto che nei nostri corsi non avevamo alcun manuale di riferimento, come invece dovrebbe essere: abbiamo sempre fatto riferimento a dispense, articoli, ricerche, e fino ad un certo punto abbiamo accettato questa condizione come se fosse normale; tuttavia quando abbiamo messo a fuoco che in Europa non esiste alcun testo a cui potersi riferire, abbiamo immediatamente pensato alla genesi di questo libro. Inoltre la richiesta di un manuale vero e proprio è partita anche dal basso, dai nostri studenti universitari, che ora più che mai sono persone con una sensibilità diversa, più acuta rispetto al passato: sono già informati su questo argomento e lo vivono in modo completamente diverso rispetto al passato, per cui a maggior ragione si aspettano uno studio più sistematico in ambito accademico.
Zoena: Avete entrambi una formazione psicoanalitica, come si colloca la psicoanalisi all’interno degli studi di genere?
Scandurra: A nostro avviso è necessario partire da un presupposto basilare che però è tutt’altro che scontato: non esistono teorie valide in senso universale, piuttosto le teorie nascono perché sono giuste in un determinato periodo storico e all’interno di un certo bacino culturale. Per quanto concerne le teorie freudiane e la conoscenza psicoanalitica, esse si stanno lentamente integrando con i gender studies, tuttavia per la nascita di una psicoanalisi queer e femminista è necessario riguardare ancora la storia e ripensare certi assunti. Io parto dall’assunto che il pensiero psicoanalitico abbia come proprio fondamento la scoperta dell’inconscio all’interno della dimensione psichica, per cui lavorare analiticamente significa guardare alla clinica attraverso questo vertice e mettere in luce il lavoro su tutti quegli aspetti più profondi ed esclusi dalla consapevolezza. Questo è anche il cardine che connette le diverse correnti psicoanalitiche che fanno capo a differenti scuole di pensiero, e che formalmente si differenziano tra loro per teoria e tecnica. Ma a parte questo, tante altre teorie appartenenti al pensiero psicoanalitico sono state nel corso degli ultimi anni rivisitate all’interno dei nuovi paradigmi sociali e culturali caratterizzanti la nostra epoca: ad esempio le stesse teorie sulla genesi e l’evoluzione dell’isteria sono state riconsiderate alla luce di nuove scoperte. Quindi sostenere ancora oggi che “l’anatomia è il destino”, come recita il celebre assunto freudiano, significa riproporre una dimensione essenzialista, che vedrebbe lo sviluppo psichico vincolato e subordinato al corpo, in un momento storico in cui lo sviluppo delle teorie post-freudiane ci ha presentato lo psichico come intreccio tra corpo, attività fantasmatica e contesto sociale.
Bochicchio: Bisogna sempre riguardare l’epistemologia dei paradigmi: la psicoanalisi si fonda sulla scoperta dell’inconscio e per molto tempo ha avuto un unico modo di parlarne, ma poi le stesse descrizioni e definizioni di inconscio si sono aperte a sguardi diversi, e questa trasformazione è stata costellata da nuove scoperte e dai punti di vista di diversi saperi, che hanno messo in discussione il primato della pulsione. Non si possono ignorare cinquant’anni di studi e di ricerche, la psicoanalisi si è aperta al trattamento di pazienti gravi, esplorando nuove strade e ampliando la tecnica. La visione essenzialista vorrebbe che il sesso biologico determinasse la vita psichica e l’identità sessuale, ma questa è una visione del primo evoluzionismo basato essenzialmente su adattamento e riproduzione. Tali aspetti oggi come oggi sono fortemente messi in discussione perchè il modo di guardare allo sviluppo sessuale è progredito, numerosi studiosi, da Foucault alla Butler, hanno messo in evidenza quanto gli aspetti culturali influenzino la definizione di cisgender e le varianti di genere.
Scandurra: Freud non disponeva delle teorie sull’identità di genere che abbiamo oggi, aveva parlato di bisessualità psichica, ma la predisposizione inconscia non è strettamente connessa all’orientamento sessuale né tanto meno al genere. Così come oggi ci sono nuove teorie e un ampliamento della tecnica rispetto a patologie come il disturbo borderline di personalità oppure le psicosi, allo stesso modo anche per tanti nuovi fenomeni sociali non è possibile adattare lo stesso tipo di cura proposto agli esordi della psicoanalisi; piuttosto bisogna utilizzare quelle evoluzioni che ne sono derivate attraverso anni di esperienze cliniche. Oggi tanti pazienti che prima erano dichiarati non analizzabili sono invece trattabili e possono accedere ai nostri studi.
Zoena: Per concludere, leggendo il vostro scritto ciò che mi ha colpito è che abbiate sottolineato più volte la necessità di depatologizzare molti aspetti della vita psichica di tanti pazienti, i quali soffrono molto di più per come vengono marginalizzati dalla società che non per una condizione penosa interna.
Bochicchio: Abbiamo delle caratterizzazioni che sono di natura puramente statistica, come è indicato nel DSM, e per poter andare oltre questa visione si rende indispensabile fare ricerca sul “come” uno specifico disturbo rifletta le caratteristiche del proprio tempo, evitando di adottare categorie che appartengono ad altre epoche storiche e contesti culturali. Il peso dello stigma è una delle ragioni per cui molti pazienti stanno male, ignorare questo fattore non sarebbe etico. Come dicevamo, le teorie, anche quelle più accreditate, non sono immutabili, piuttosto dobbiamo imparare a pensare che una teoria del funzionamento mentale è davvero buona se è provvisoria e contestualizzata nel proprio tempo. Rimanere ancorati a vecchi paradigmi non solo diventa fonte di un forte disagio ma ostacola i processi di cura. Una buona ricerca è quella che ritraccia la strada, che assume come fondamento l’assioma che la mente è in divenire e non è uguale a se stessa, per cui non soffre sempre per le stesse ragioni. La sofferenza e la cura non sono altro che la storia di un processo all’interno di una dimensione inconscia personale e collettiva condivisa.
Scandurra: Una giusta prassi dovrebbe poter parlare di psicoanalisi al plurale al fine di accogliere la sofferenza e trasformarla all’interno di una modalità di cura inclusiva e rassicurante. Altrimenti si produce malessere. Siamo consapevoli che il nostro funzionamento preconscio ci spinge a considerare alcune teorie al fine di guardare ai fenomeni in un certo modo. Nel caso della psicologia dell’identità di genere si rende necessario leggere determinate situazioni come varianti fisiologiche, che sono simili sia per i cisgender che per i transgender. La posizione etiopatogenetica vorrebbe svelare il “perchè” si può essere transgender invece di lasciare che la ricerca spieghi il “come” si possa verificare questo tipo di condizione. Sono due modalità differenti, ma non sempre è immediato spostarsi dal “perché” al “come”. Bisogna poter pensare che sia possibile diventare anche cisgender, piuttosto che dare per scontato di esserlo, perché in termini epistemologici si può osservare il ruolo di molte transidentificazioni che spesso sono tralasciate e messe da parte.
Questa interessante conversazione con gli Autori ha mosso in me numerosi interrogativi, soprattutto riguardo al ruolo e alla funzione della psicoanalisi. Da diversi decenni abbiamo potuto osservare dal vertice psicoanalitico che la società gioca un ruolo fondamentale e ha un’influenza profonda sullo sviluppo della personalità e della sofferenza psichica degli individui, tanto da poter affermare con certezza che è bene per il genere umano che questa influenza non venga sottovalutata, ma anzi venga ben studiata e compresa (Bettelheim, 1960). Tale operazione garantisce di poter contestualizzare le dinamiche di vita personali all’interno di quelle collettive al fine di risignificarle e proteggere l’essere umano dalla sua stessa potenzialità distruttiva.
La psicoanalisi, o forse le psicoanalisi come suggeriscono gli autori, ponendosi come apparato pensante e non come un condensato di teorie, ha oggi la possibilità e i mezzi opportuni per promuovere un cambiamento trasformativo del contesto sociale in modo che esso non costituisca per gli uomini e le donne contemporanei un ostacolo al loro poter vivere in maniera soddisfacente, ma anzi promuova l’organizzazione di un ambiente che incoraggi e faciliti l’esistenza.
Non si tratta solo di rivedere quelle teorie che oggi vengono smentite dai fenomeni per poterle arricchire e ampliare, si tratta bensì di costruire modelli di cura efficaci. La lezione freudiana sempre attuale ci ha insegnato ad osservare attentamente la clinica per formulare teorie adeguate che a loro volta possano sviluppare tecniche di intervento mirate, ed è proprio questo che gli psicoanalisti sono chiamati a ricordare. La circolarità clinica-teoria-tecnica è lo zoccolo duro di un sistema di pensiero che continuamente riformula se stesso e si rinnova.
Pertanto poter affermare che lo sviluppo della personalità e dell’identità di genere non sono radicati solo nella biologia o nella storia personale e nelle esperienze di vita del singolo soggetto, ci aiuta a guardare più da vicino i contesti culturali e sociali di riferimento, a curare le connessioni e a riparare i paradigmi perversi che generano sofferenza: prendendo le distanze da qualsiasi forma di stigma, i modelli di cura possono estendersi a multiformi livelli di complessità e poter diventare anche efficaci strumenti di comprensione intellettiva ed affettiva.
Bibliografia
BETTELHEIM B. (1960) “Il cuore vigile”. Adelphi, Milano, 1998;
BUTLER J. (1993) “Bodies that matter”. Routledge, London, 2011;
FREUD S. (1905) “Tre saggi sulla teoria della sessualità”. Dall’Oglio editore, Milano, 1950;
FREUD S. (1914) “Ricordare, ripetere, rielaborare”. OSF vol 7, Boribghieri, Torino, 1980;
FOUCAULT P. M. (1976) “La volontà di sapere”. Feltrinelli, Milano, 1978.