• Home
  • Cultura e Società
  • Libri e Presentazioni
  • Roberto Metrangolo. Tre caratteri. Narcisista, borderline, maniaco depressivo, di C. Bollas

Libri e Presentazioni

Cultura e Società

Roberto Metrangolo. Tre caratteri. Narcisista, borderline, maniaco depressivo, di C. Bollas

Christopher Bollas, Tre caratteri. Narcisista, borderline, maniaco depressivo, Raffaello Cortina, Milano, 2022, pp. 166, € 13,00

Con il libro Tre caratteri. Narcisista, borderline, maniaco depressivo Bollas offre un esempio di scrittura psicoanalitica. Essa è al tempo stesso carica di tutti gli attraversamenti teorici e clinici sul tema, e capace, con ricca semplicità, di accostare a problemi complessi un pubblico più esteso di quello che appartiene alla comunità psicoanalitica.
I tre ritratti sono il distillato, in forma di materiali per conferenze, di un lungo percorso che l'autore ha vissuto con gruppi di colleghi, in due distinte esperienze di discussione di materiale clinico: il Chicago workshop per 16 anni e la Arild Conference per 27 anni.
L'intento è quello di «aiutare i clinici a penetrare nella mente di queste tre personalità» (10). Secondo Bollas una conoscenza approfondita di queste posizioni del “Sé nel mondo” è un ingrediente fondamentale per l'analista, per sviluppare un'identificazione e un'empatia verso le strategie con le quali il narcisista, il borderline e il maniaco-depressivo hanno tentato di sopravvivere al dolore mentale; identificazione ed empatia messe duramente alla prova dalle specifiche forme del transfert che questi pazienti sviluppano e da una faticosa elaborazione del controtransfert in cui è inevitabilmente impegnato l'analista.

In questa prospettiva, Bollas recupera una pratica appresa nella scuola di specializzazione in letteratura inglese: esprimere i pensieri dei personaggi-pazienti in prima persona e configurarli come assiomi e logica della personalità per evidenziare meglio il rapporto con le questioni che essi pongono alla cura analitica.
Proprio gli assiomi sono l'area riconoscibile che accomuna, sotto un'unica etichetta, individui per tanti altri versi irriducibili a qualsiasi forma di categorizzazione. Ciò tuttavia non lascia sfuggire il comune destino per il quale il “tentativo intelligente”, proprio di ogni disturbo del carattere, di «trovare una soluzione a un problema esistenziale» (13), riduca l'area di funzionamento dell'inconscio ricettivo e, quindi, lo sviluppo creativo della personalità.

La riflessione sul “carattere narcisista” si dipana a partire da Modell (Seminario presso il Dipartimento di Psichiatria del Beth Israel Hospital di Boston, 1972) che per primo ha sottolineato come il narcisista abbia dovuto rifiutare un oggetto primario molto intrusivo. La conseguenza è stata la scelta della propria immagine come oggetto primario sostitutivo e la tendenza a reclutare l'altro nella sua contemplazione per trovare un benessere temporaneo; «ma ogni tentativo di entrare in contatto con essa la distrugge» (17), conclude Bollas. Sia Narciso che Eco muoiono nei rispettivi tentativi di coinvolgere un altro.
«Se l'analista-eco sbaglia a parlare, deve affrontare una particolare relazione oggettuale: il lago che frammenta il Sé. Meglio rimanere passivi e supportivi» (18).
Il contratto narcisistico ha la finalità di dare alimento a un fragile valore di sé. Le sue necessità conferiscono al linguaggio e al discorso “un'andatura particolare” in cui le parole, piuttosto che essere lo strumento di una produzione di nuovi significati, equivalgono alle «espressioni del viso o alle posture del corpo: hanno lo scopo di indicare ciò che procura piacere o dispiacere» (19). Le parole rinviano all'«intenzionalità preverbale del Sé in cui l'effetto pragmatico del potere sugli altri prevale» (20).
Nell'affermazione di un Sé ideale connesso ad oggetti ideali, il narcisista ha bisogno di oggetti denigrati, gemelli di quelli idealizzati, con i quali attraverso l'odio mantenere una connessione.

Una dinamica che possiamo osservare nei termini di un gradiente che dal narcisista positivo, abbastanza adattato e in cerca di oggetti speculari e rassicuranti, conduce verso le forme di narcisismo negativo, diversamente tratteggiate nel pensiero psicoanalitico da autori come Green e Rosenfeld. In esse il narcisista è orientato ad affermare un potere che compensi tutto ciò che è mancato, a trovare un equilibrio sostenibile attraverso la distruzione delle parti creative ed amorevoli del Sé, generatrici di una dipendenza insostenibile e traumatica, messa in opera da una gang al servizio di un mafioso, come ha teorizzato Rosenfeld. È suggestiva l'immagine con la quale l'autore raffigura la crisi del narcisista negativo, che può alimentare una richiesta di cura. La immagina come un'esplosione violenta, segnata dal dolore e dal rimorso, oppure da “un insight guidato dalla pulsione di morte”. «È come se una parte della personalità fosse fuggita dalla setta organizzata dal boss mafioso; arriva abbastanza lontano da chiedere aiuto prima di essere colpita da uno sparo e messa a tacere» (50). Questa fuga la possiamo immaginare come una presa d'atto di un deterioramento somatico oppure dell'insorgenza di una forma di depressione oppure del confronto con il destino ineluttabile della morte. Rappresenta un “ritorno dell'ucciso”, di ciò che è stato necessario denegare e proiettare in oggetti da distruggere.

Questa fuga temporanea che anima la richiesta di cura non è sufficiente a evitare di essere imbrigliati dall'odio e dall'invidia nei confronti della logica generativa della cura analitica che può essere deteriorata con la “malafede” che, attraverso l'invenzione o il nascondimento deliberato, fa naufragare gli sforzi dell'analista.
Bollas dà voce al narcisista attraverso un insieme di assiomi che ne evidenziano le caratteristiche fondamentali, di cui ne cito alcuni:

  • «Trovo che l'altro che desidera una relazione di intimità […] sia invasivo, inaffidabile e predatorio. […]
  • Se sono un narcisista positivo, posso cavarmela nella vita dedicandomi apparentemente a un grande numero di amici che mi forniranno esperienze di rispecchiamento in modo che non vi sia necessità di un coinvolgimento […]
  • Sono inseguito da un alone di colpa, ma rimando il giorno del giudizio». […] (55-56).

Tutto ciò in un crescendo che ha come possibilità un'ultima scelta disperata di morte.
Il narcisista positivo anima un transfert idealizzante che può essere mantenuto per un tempo necessario a consentire un progressivo collegamento con l'oggetto primario e ridimensionare, per questa via, le pretese di un Sé ideale arcaico. Il problema che pone alla cura, come possibilità trasformativa, è quello di trattare la inevitabile delusione per l'analista e per sé che conduca ad un passaggio depressivo e integrativo.
Di particolare interesse la chiarezza con cui viene proposta un'empasse terapeutica con pazienti “narcisisti”. “Momenti narcisistici della cura”, si potrebbe dire, in cui sembra che la tela di significati faticosamente costruita si disfi e il paziente cominci a ritardare, saltare le sedute, manifestare una stanchezza eccessiva, a conte- stare l'utilità della cura. Il paziente, spesso, sostituisce le parole dell'analista con proprie parafrasi. Talvolta dichiara di non comprendere, altre volte acconsente al fine di archiviare immediatamente. È un consenso che disarma e interrompe la catena creativa e generativa delle associazioni libere. Il controtransfert, allora, può indurre un atteggiamento vagamente critico e inquisitorio nell'analista, quasi punitivo, che allontana ancora di più, e quasi legittima il bisogno di porre termine a una relazione che è diventata reciprocamente aggressiva. Nelle forme più maligne, dice Bollas, la vita psichica dell'analista diventa “l'obiettivo dell'assassinio narcisistico”. Un diverso clima propone il “dolore incessante” del paziente borderline. Bollas recupera aspetti diversificati della estesa letteratura che l'esplosione di questa diagnosi ha generato. L'aspetto originale che è possibile rintracciare nel testo è la configurazione del contratto borderline nella cura analitica, dei problemi che propone, del lento processo attraverso il quale si può costruire un “ponte per il borderline” prima di analizzarne le dinamiche del mondo interno.

«Le personalità borderline hanno una particolare abilità nel reperire altri borderline con i quali possono instaurare un contratto borderline. Questo dà avvio a reciproci festival del dolore, nei quali ciascuno provoca all'altro un intenso disagio» (68).
La cura evidenzia alcuni aspetti ricorrenti: una scarsa disponibilità a parlare dettagliatamente delle esperienze vissute e più genericamente della vita in modo astratto; la focalizzazione sull'oggetto negativo disorganizzante che, paradossalmente, funziona da organizzatore e preclude la possibilità di una creatività inconscia che genera, al contrario, un effetto alienante; la percezione dello spazio potenziale come un buco nero, un'esperienza pericolosa priva di regole.
Tra gli assiomi fondamentali del mondo borderline l'autore ne propone alcuni:

  • «Non possiedo un senso originario di chi sono, ma posso sentire un “me” che si instaura in reazione a un altro che reca disturbo. […]
  • Per costruire una relazione con qualcuno […] devo disturbare gli altri per trovare il mio posto e diventare ciò che è possibile che […]» (94-95).

Diventa maggiormente chiaro, da questa prospettiva, la depressione borderline la quale «rappresenta un sentimento di disperazione relativo alla capacità di lasciare l'oggetto di attaccamento» (90) e rinunciare a “invischiarsi con il negativo”, soprattutto quando gli oggetti adeguati a contenere gli aspetti indesiderati del Sé rifiutano questa funzione e disertano la relazione.
Rispetto alla cura del borderline è utile sottolineare la ferma convinzione di Bollas che gli approcci centrati sulla “mentalizzazione” rischino di diventare difese dell'analista dal coinvolgimento in una relazione caotica dagli intensi effetti contro-transferali. Ciò comporta il rischio che la terapia, centrata sulla problematica del deficit, riproduca il senso fondamentale del disinteresse materno. Viceversa, conclude Bollas, «ci si può attendere che tutti gli analizzandi possano usufruire dell'interpretazione analitica, se si compie lo sforzo di tradurre in linguaggio il carattere e la sua dinamica nel transfert» (98).

Il maniaco-depressivo, attualmente “bipolare”, cerca inconsciamente di sottrarsi all'oppressione di una prolungata e profonda depressione attraverso l'umore maniacale. In entrambe le condizioni la sua strategia è “l'evitamento del significato insopportabile”.
Dopo aver proposto un'ipotesi relativamente al “clima familiare” e alle possibili vicende evolutive che hanno caratterizzato lo sviluppo del “maniaco-depressivo (una “casa desolata” con genitori poco attenti al mondo interno del bambino e, paradossalmente, incapaci di fornire gli strumenti per la regolazione delle normali tensioni eccitatorie), Bollas sottolinea la lacerazione del tessuto della memoria personale quale caratteristica fondamentale della mania. La relazione tra questi due aspetti può essere considerata la sostituzione di ricordi di tipo grandioso al posto di un fragile senso della propria esistenza, dovuto a una difettosa “celebrazione del Sé” da parte dei genitori. La crisi maniacale allora diventa una sorta di “autoadorazione” megalomanica e riparativa dell'amore perduto.
Di particolare rilevanza, per le conseguenze nella cura, è la persistenza della seduzione maniacale come fantasma interno, una volta che l'episodio maniacale lascia il passo all'esperienza depressiva. Il Sé minacciato di annichilimento intrattiene, in realtà, una specifica relazione segreta con il fantasma interno del trascorso maniacale come argine di un senso di morte “potenzialmente definitivo”.
Quali conseguenze questi aspetti implicano per una comunque difficile cura analitica?
Intanto l'autore propone la necessità di una cura ad elevata intensità e durata, che può non esser ostacolata dall'uso di psicofarmaci che rendano più sopportabile la vita di pazienti ma che, tuttavia, non “curano”. Tuttavia sappiamo come siano difficili da realizzare, nell'attuale contesto della psicoterapia psicoanalitica con i pazienti bipolari, la durata, l'intensità e la compliance farmacologica.

Un modo originale di pensare la funzione dell'analista, rispetto alla crisi maniacale, è quello di funzionare da “rallentatore”, da elemento depressivo che contribuisce a configurare nello spazio analitico entrambi i poli della scissione maniaco-depressiva. Interrompere il flusso delle idee e rivendicare la possibilità di parlare vuol dire per l'analista rallentare la vertigine del pensiero e aprire varchi a qualche interrogativo. Nelle fasi iniziali, inoltre, è fondamentale costruire la storia del soggetto ma soprattutto il legame tra gli eventi della vita e lo stato mentale del paziente. Questa necessità è configurata da Bollas nei termini di una fiducia nel pensiero e nella ricerca di significato che la costruzione della propria storia può alimentare nel paziente.
In secondo luogo ogni tentativo di cura può essere vano se il terapeuta, per lungo tempo, non accoglie il tentativo del paziente di liberarsi di lui attraverso una idealizzazione che lascia inalterato il rapporto segreto con la seduzione maniacale. Alla fine è possibile instaurare “tra il Sé e l'altro” un idioma di intimità.

Le conclusioni riassuntive del libro sono lasciate a un'intervista che riprende, precisa e articola le idee dell'autore sui Tre caratteri.

Roberto Metrangolo

Iscriviti alla nostra newsletter

*
*
* campo obbligatorio
* campo obbligatorio

s.i.p.p.

Il sito internet sippnet.it della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica rispetta le linee guida nazionali della FNOMCeO in materia di pubblicità sanitaria, secondo gli artt. 55-56-57 del Codice di Deontologia Medica.

Tel:
0685358650
Email:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Indirizzo:
Via Po 102
Roma



© SippNet. P.IVA 01350831002