Il colloquio con l'anziano. Intervista a Wivie Benaim di Chiara Nicolini
È una ventilata giornata estiva, già mentre aspetto il taxi, un anziano signore, quando sente dove sono diretta, mi dice “la zona più bella di Firenze”, Pian de giullari, un’oasi e la casa di Wivie è un sogno. Il taxista, durante il tragitto, mi illustra i vari palazzi: il famoso collegio Poggio Imperiale, la fondazione Spadolini, il ristorante Omero dove si mangiano ottime fiorentine (confermo) ed eccoci arrivati. È la seconda volta che vengo da Wivie Benaim, la prima fu molti anni fa, in occasione di un colloquio di selezione alla SIPP e, come succede quando si rivedono i luoghi della propria infanzia, anche se al tempo ero gia una donna adulta, tutto mi appare ora più piccolo. Ricordavo un grande prato all’inglese antistante la casa e ora ciò che spicca sono le piante: qualche ulivo, una magnolia, un caco, un sambuco, ma soprattutto un tiglio. Un poderoso tiglio che ha piantato suo figlio 30 anni fa, con un bel tronco forte e dritto e, complice una regolare potatura della cima, delle ampie fronde che creano una vasta ombra tutt’attorno. “Sai a me non piacciono gli ombrelloni, preferisco l’ombra degli alberi”, come darle torto?
Conversiamo e mangiamo sotto al tiglio, ci serve la sua governante “non badante, perché io so badare a me stessa!” E infatti Wivie è una vecchia analista, bella, tosta, forte e accogliente come il suo tiglio. Trascorro così, in compagnia di questa vecchia signora che mi aveva fatto sempre molta soggezione, due giorni piacevolissimi, l’obiettivo era quello di parlare di vecchiaia ma ovviamente i suoi racconti spaziano dalla Norvegia, sua terra natale, alla SIPP che ha contribuito a fondare, ai figli, ai suoi amici, qui riferirò solo del tema che interessa questo libro.
La nostra conversazione tocca molti aspetti, dalla sua esperienza terapeutica, alla sua esperienza di donna anziana, al rapporto che la vecchiaia ha col corpo, con la malattia, col tempo. Ovviamente tutti questi temi si sono un po’ mescolati tra loro, come avviene di solito in una normale conversazione, riporto qui i temi principali cercando di non tradire lo spirito che stava alla base della nostra conversazione, che era appunto più un parlare insieme che non un’intervista.
La sua esperienza con pazienti anziani
La prima paziente che mi viene in mente risale a circa 40 anni fa, era venuta per un problema col marito.
Sentivo che stava giocando una parte non adulta, c’era la sua parte bambina che voleva emergere e stranamente cominciò a parlare di suo padre senza che io avessi indicato nessuna strada, io stavo ad ascoltare, aspettavo. Lei cominciò a rielaborare il rapporto figlia-padre e il rapporto triangolare edipico figlia-padre-madre. Avevo l’impressione che il marito fosse un alibi per parlare del rapporto edipico, che è riuscita a vivere, forse per la prima volta in seduta: l’amore mai professato per questo padre. Allora avrò avuto 40 anni e questa signora mi sembrava molto anziana, era una professoressa di matematica che sapeva poco delle proprie emozioni, ora mi dispiace non aver scritto nulla di questa signora e così non ricordo molto, ma quello che ricordo è come si sono svegliate le sue emozioni e come io a volte ero per lei una madre amorosa che le faceva invidia e a volte ero la madre con cui fare a gara per avere l’affetto del padre.
Mi viene in mente un altro signore, mio coetaneo, aveva quasi 80 anni, era venuto da me per una depressione e cominciò subito a parlare della mamma. Ma che strano… io trovo che queste persone anziane, senza alcuna indicazione, vanno direttamente alla culla. Invece io ho sempre pensato che nella psicoterapia con l’anziano la tomba è troppo vicina e la culla è troppo lontana e così bisogna aiutarli ad avvicinarsi alla tomba. Invece non è così, nella clinica, la mente, il cuore, la persona va direttamente alla culla.
Questo signore era un grande intellettuale, un importante dantista, era un uomo che consideravo molto interessante e forse troppo intelligente per me. Ma lui mi portava sempre lì, alla sua prima infanzia, poi via via si passava all’adolescenza dove si era risvegliato questo grande attaccamento edipico alla madre.
Poi mi viene in mente una supervisione che ho fatto, una paziente non anziana di anni ma anziana di modi, era anziana perché non aveva vissuto, aveva proprio saltato a pié pari una lunga fetta della sua vita e aveva poi vissuto con lo psicoterapeuta cose che non aveva mai vissuto da giovane. Aveva una cinquantina d’anni, ha cominciato a cambiare modo di essere, nonché modo di vestire, ha cambiato pettinatura, ha cominciato a ridere, ha cominciato a provare emozioni mai vissute, si è innamorata del marito.
Potremmo dunque pensare che per una persona che si sentiva anziana anzitempo parte della cura consisteva nel farle recuperare un narcisismo sano
Certo! Un narcisismo che lei non aveva mai vissuto, dici bene, anzi ha vissuto l’opposto, ha vissuto la depressione.
Ho avuto più pazienti depressi che non anziani, ma forse è la stessa cosa, è come dire: è andato in depressione invece di vivere un sano narcisismo.
Io penso che davvero con gli anziani bisogna recuperare questo sano narcisismo
Si e non come pensavo io di aiutarli a camminare verso la tomba. Io ho proprio cambiato idea.
Ora che io sono anziana, ti dirò che molte cose sono cambiate in me, tutto sommato si vive meglio da anziani che non da giovani, sei più serena, più tranquilla. La vita ti può essere andata bene, meno bene, possono essere stati fatti degli errori, però, bisogna guardare avanti, non credere che si può cambiare del tutto la realtà di quello che è stato. Ognuno avrà fatto il meglio di quello che ha potuto, io credo di avere fatto il mio meglio, non sicuramente sempre bene, ma ho fatto quello che ho potuto. E come diceva Winnicott, sicuramente non sei stata la madre più buona, più brava di tutte ma forse neanche la peggiore, forse solo sei stata una madre e hai fatto quello che hai potuto. E quello è la stessa cosa con la vita.
Dunque bisogna guardare sia avanti che indietro, indietro per recuperare parti non vissute o comunque non elaborate e avanti verso un futuro non mortifero ma vitale
Certo!
Però questo guardare avanti nell’anziano è ben diverso dal guardare avanti nell’età matura, perché nell’età anziana non devi fare, non devi raggiungere obiettivi, puoi guardare avanti senza per forza dover raggiungere qualche meta.
In un certo senso puoi solo godere di quello che hai davanti, senza dover fare. Io sento di non avere più tanti obblighi, sento di dovere essere un buon esempio per i miei nipoti ma senza essere stremata dai problemi; i problemi ci saranno, si affronteranno… e questa è una cosa che ti porta la vecchiaia, di essere tranquilla, quello che non va si risolverà. Per me essere diventata anziana è una conquista è una cosa che per fortuna mi è capitata, perché non tutti diventano anziani.
Rapporto tra vecchiaia e malatti
Quello l’ho sentito molto, per esempio il mio intervento (una protesi a un ginocchio) è venuto troppo tardi, era troppo incisivo per la mia età, tanto è vero che il chirurgo ha detto: “tu sei proprio una border line (ovviamente nell’accezione medica, non psicologica), ti ho operato perché sei la mamma di un collega e perché mi sei simpatica, se no non l’avrei fatto”, era troppo tardi per tollerare il dolore e il deterioramento che deriva da un intervento così incisivo.
Già perché uno dei problemi che la vecchiaia porta con sé riguarda anche la tolleranza del deterioramento
Sicuramente dopo un intervento traumatico hai bisogno di tempo per recuperare un po’ dal deterioramento che un trauma procura e io sento che oggi sto meglio di 3 mesi fa. Un po’ di capacità le ho certamente perse, però lo accetto serenamente, sento di non dover più fare a gara con nessuno, e se sono meno sveglia di prima, pazienza.
Ma non pensi che la tua storia, il tuo mestiere ti siano di aiuto in questo?
Forse sì, ma non sono tanto sicura, ma forse sì, perché il mio mestiere, la mia analisi e l’analisi degli altri mi hanno portato a conoscere me stessa. Io ero una ragazza irruente, super dinamica, penso alle lotte che facevo con le Women’s equal political and economical rights in Norvegia, dove le quote sono arrivate molto prima di qui. Ricordo che allora le donne in stato di gravidanza dovevano assentarsi prima dal lavoro perché non stava bene presentarsi con il pancione, e noi abbiamo lottato e ottenuto che le donne potessero prendersi i 3 mesi quando volevano; allora tutte lavoravano fino al giorno prima di partorire e prendevano i 3 mesi dopo il parto, giustamente, per poter stare con il bambino. Questo era negli anni ‘50. Qui in Italia la legge sulla maternità risale agli anni ‘70.
Rapporto vecchiaia-tempo
È tutto cambiato. Prima il tempo era molto importante, si trattava di far entrare tutto nel tempo, ora è molto meno importante. Per me il tempo non ha più quel significato, il tempo deve essere usato, non deve essere sprecato, non hai più il desiderio di lottare o fare delle cose per cui non vale tanto la pena. Ora sento di occuparmi solo delle cose per cui vale la pena.
A proposito della solidarietà e della capacità di star soli
Penso alla guerra in Norvegia, dove sicuramente le abbiamo buscate, ma forse ne siamo anche usciti fortificati. Ricordo una cosa che mi fa quasi venire le lacrime ora dopo quasi 70 anni: quando mio padre fu arrestato, il giorno dopo trovammo sulla porta un gran bouquet di fiori, fiori di pisello rossi, bianchi e blu, e quelli sono i colori nazionali norvegesi. E quello veramente ci ha commosso, ricordo che la mamma ed io abbiamo pianto per questo sostegno. Non abbiamo mai saputo chi avesse messo quei fiori ma quel gesto esprimeva solidarietà. Quella brutta guerra ha creato un’unione che era molto bella, mi commuovo tuttora. [1]
Così io credo che tutte le guerre possano creare qualcosa, c’è sempre qualcuno, come te, che ti fa sentire un’unione. Per me la cosa più importante della vita è stare insieme, in un’unione, in un’amicizia, in un affetto con il prossimo, o almeno con qualcuno.
Non sentirti sola dentro
Ecco quello è importante, è ciò che ti permette di stare sola con un libro, con un bel disco, con una passeggiata anche da soli. Perché sicuramente uno diventa più solo quando è anziano, quello non c’è dubbio, perché un po’ perde le amiche, gli amici, perchè vanno via prima di te e gli altri sono più giovani, hanno bisogno di altre cose. Per esempio io avevo una vita molto vivace, la sera o avevo qualcuno a casa o ero fuori. Ora non c’è più quello, però ora puoi stare sola e godertela. Quella è una cosa nuova per me, perché forse ero troppo dipendente dal fare. Ora puoi goderti la vita non facendo.
Però per poter godere di quello che si ha, bisogna anche scoprire quello che si possiede.
Ma chi non l’ha scoperto prima lo scopre dopo, io l’ho scoperto dopo e chi non lo scopre va in terapia
Dunque si può scoprire anche in età anziana
Certo, per fortuna! E credo che tutti abbiano qualcosa da scoprire, qualcosa di cui essere grati, da guardare con occhi soleggiati, con occhi sereni. Certo c’è molta miseria umana e mentale nel mondo, ma credo che, se ben indirizzati, tutti, o quasi tutti, trovano una cosa per cui è valsa la pena vivere. Mi viene in mente una persona a me molto cara che ha avuto una malattia che le rende difficile la deambulazione. Tu avrai visto qui in giro una carrozzella che io ho usato per pochi giorni dopo l’intervento, ma ora la tengo perché, quando questa persona viene a trovarmi, dal cancello dove lascia la macchina, non può venire fin qui senza carrozzella. Questa persona, pur avendo una grave malattia, riesce a godersi delle cose belle, a godere la compagnia di un’amica, riesce a godere del suo lavoro, insomma io credo che tutti abbiano qualcosa di cui godere.
UN FLASH CLINICO
Mi telefona la figlia di un ingegnere mi dice che è nel pallone per suo padre, così lo vedo.
Il padre è venuto da me, ha un anno meno di me. Aveva la sindrome di Mennier, era depresso, parlava dei problemi della sua vita e della sua malattia poi ha parlato di un fratello che non vedeva da 20 anni. io gli ho detto: beh forse una letterina… Poi circa un mese fa mi dice che deve parlarmi di una cosa: “ho fatto un torto a mia moglie” il che lo rendeva più umano e meno rigido, lui era tormentato dal senso di colpa per quel tradimento, ma era ancora innamorato di sua moglie, il che non si sente spesso in un uomo di 80 anni. Così l’ho invitato a guardare avanti, a quello che avevano costruito insieme: 2 figlie straordinarie ora sposate, una casa in campagna, insomma gli suggerisco di non guardare solo indietro ma anche avanti.
Lui va a casa e si confessa anche con la moglie e succede un pandemonio. La moglie è seguita da un analista che essendo anche psichiatra le può dare farmaci, ma c’è una guerra a coltello, lei continua a chiedere: com’era quella donna, com’era la biancheria…
Mi pare che questo sollevi il problema che quando si tratta con un anziano non si possa prescindere dal contesto in cui è inserito, un po’ come quando si tratta un adolescente
Si, è vero, tant’è che io poi forse ho fatto un errore, gli avevo detto: “ora lei mi ha detto questa cosa, ma è come se lei fosse stato molto religioso e fosse andato da un confessore, mi raccomando, non lo dica a nessun altro. Questa è una cosa che appartiene a questa stanza, di qui non esce, come nessun altro può entrare e come non escono le parole che ci diciamo qui. Forse così dicendo gliel’ho messo in mente.
Wivie riflette su quello che sarebbe potuto succedere se lei non gli avesse fatto quel discorso, sui sensi di colpa di questo uomo, ma forse anche sui suoi che gli ha raccomandato di non rivelare a nessun altro quella relazione. Riflette anche su questa moglie che è sempre stata una strega con lui e con le figlie, una strega che solo ora rivela la sua vera natura quando lui le confessa il tradimento. In fondo quella relazione gli ha consentito di sopravvivere e di dare alla sua famiglia una vita più che decorosa
Quando questo paziente si rammarica di non aver dato molto affetto alle sue figlie Wivie gli ricorda che è sempre in tempo a farlo
Io osservo che questo paziente ha fatto fare a Wivie la parte di chi lo consola, la parte del super io benevolo e alla moglie la parte di chi lo rimprovera, del super io persecutorio. Ora lui potrebbe riprendersi queste due parti e integrarle.
Devi pensare che ha 80 anni e ha la sindrome di Mennier, potrebbe anche uccidersi, perché l’ha minacciato.
E la sindrome di Mennier fa perdere l’equilibrio
Già, fa perdere l’equilibrio così lui dipende dal suo carnefice che è la moglie, perché non può far nulla da solo.
Certo che è incredibile come a volte si possa perdere l’equilibrio quando si vogliono mettere a posto le cose, come quando non si trovano gli oggetti dopo che si ha messo ordine, e invece nel proprio disordine ci si ritrova. Come se il riordinare l’avesse fatto smarrire.
Già, proprio così. La figlia è disperata perché la madre è come impazzita e non vuole prendere prendere i farmaci… (Wivie si accalora) Lei è tremenda, sulla forca la manderei, però il guaio è che è lui che si ucciderebbe.
Per non uccidere lei
Si
Il suo è stato anche un attacco aggressivo.
Altroché! Mi fai venire in mente un mio vecchio zio che, in punto di morte, alla moglie che piangendo gli diceva: “Caro il mio Enea, non abbiamo neanche avuto figli…” ha replicato: “tu no” e poi è morto.
Che cattiveria!
Come dire che non è mai troppo tardi per essere aggressivi!
Bisognerebbe fare una ricerca sulla rottura, come sulla frattura del femore che molto spesso porta a uno scompenso mentale, e la sindrome di Mennier è la rottura dell’equilibrio, e credo che porti a una rottura dell’equilibrio più profonda. Penso proprio che andrebbe indagato, perché l’ho visto più volte quello della frattura del femore che addirittura a una mia amica l’ha portata a un Alzheimer. Si è fratturata il femore e improvvisamente è scoppiato l’Alzheimer, probabilmente ce l’aveva anche prima, ma c’è sicuramente qualche collegamento.
A proposito della neutralità dell’analista
Un’altra cosa della vecchiaia è che sei molto meno rigido, non so se è un bene o un male, io credo che sia un bene, perché la grande rigidità e la neutralità analitica non so serve, io credo sia finta, o perlomeno per quanto riguarda la mia personalità, non puoi essere sempre neutrale.
Una delle domande che ti volevo fare era proprio se secondo te c’è un rapporto tra l’età del terapeuta e la self disclosure
Sarà un caso che sono amica della Ehrenberg.[2]Con un giovane adolescente che soffre di enuresi, dopo l’interruzione dovuta al mio intervento, passai in bagno la notte precedente la ripresa della terapia. Il giorno dopo, in seduta gli dissi: tu sei sempre molto sincero con me, ora ti voglio rivelare io una cosa che mi riguarda, stanotte l’ho passata in bagno. Il ragazzo strabuzzò gli occhi: che strano, disse, io stanotte sono rimasto asciutto
Poi mi viene in mente una paziente tedesca che parla poco l’italiano, al terzo anno di analisi, con una storia relazionale affettiva molto difficile. Qualche settimana fa, viene e mi racconta del suo weekend. Era stata con il suo compagno in una cittadina della Francia, sono stati bene, il viaggio è andato bene; la seduta era abbastanza vuota, ma io sentivo un grandissimo disagio, come un pericolo imminente, proprio una cosa tangibile, era cambiata l’aria nello studio e ho detto: “malgrado il bel weekend che ha passato, qui sento come una bomba inesplosa”. Lei se n’è andata, arrivederci, arrivederci, era l’ultima seduta della settimana. Mi telefona il giorno dopo, era sabato, e mi dice: “Lei ha mormorato qualcosa di una bomba inesplosa, ora la faccio esplodere io, sono incinta”
Wivie scoppia in una gran risata
Ma guarda, ti assicuro, io non l’ho sentito che lei era incinta, io non ho sentito una cosa vitale, ma un pericolo, tant’è vero che tra pochi giorni abortirà. La paziente ha sentito questo bimbo come un attacco terribile del suo compagno, che è una persona con molti problemi, anche di alcolismo, mentre lei è una persona di spessore, una persona seria.
Vedi queste cose qui non le avrei dette prima, io non ero così libera di usare me stessa come strumento di indagine. Questa è sicuramente una cosa che è cambiata con l’età, o forse è cambiata con la mia malattia, perché quella mi ha anche fatto rendere conto dell’età, perché io mi sono sempre sentita giovane, finché non ho avuto questo trauma dell’intervento. E dopo questo io, in un certo senso, mi sento più libera.
Verrebbe da dire che per fare questo mestiere bisogna subire delle perdite reali, non solo fantasmatiche
Forse si, però io non lo so se faccio meglio o peggio, può darsi che dire che c’è una bomba inesplosa non vada bene. Forse non va bene dire al ragazzo che ho passato una notte in bagno. Io credo che vada bene, però la pazzia è latente in tutti!
Se da un lato verrebbe da pensare che bisognerebbe individuare un limite di età oltre il quale non prendere più pazienti, non iniziare più analisi, dall’altro vien da pensare al limite opposto: prima di una certa età come si può pensare di aiutare una persona in generale e una persona anziana in particolare?
Una persona giovane, io credo, non può aiutare una persona anziana, nonostante la sua tecnica, la sua intellettualità e i suoi studi. Io non credo, perché le emozioni, le fragilità, che inevitabilmente ti vengono con l’età o con le perdite, - e a 80 anni chi non le ha avute? – un giovane non può capirle, perché lì devi avere fatto l’esperienza. Non basta l’esperienza di un’analisi, bisogna anche avere l’esperienza di una vita. Di questo io sono convinta.
Ricordo Musatti, all’ultimo congresso, era nel ’75, lui ha parlato e poi si è commosso e ha lasciato. Credo che, dopo una certa età, per apparire in pubblico bisogna essere molto forti, perché ho visto che, subito dopo l’intervento, ora meno, quando mi telefonavano gli amici, o mi dicevano una cosa carina, io subito piangevo. E credo che quella è una fragilità che viene agli anziani o dopo un trauma, e quello credo che un giovane non lo può capire.
Insomma per te è importante che il terapeuta degli anziani sia a sua volta un po’ anziano
Forse sì, non lo so se è giusto, forse lo dico solo per confortare me stessa, ma veramente non lo so. Forse è necessario che il terapeuta sia maturo, non c’è mica bisogno che sia anziano. Noi siamo veramente nel tardo pomeriggio della nostra vita, credo che nella vecchiaia bisogna anche tollerare di non essere più così utili, così indispensabili. Questa è una cosa che mi tranquillizza, mi conforta, sono come sono, con le mie defaillances, con i miei errori.
Penso che questo sia possibile quando non si hanno problemi di identità, quando uno si riconosce per quello che è, allora può accettarsi. Mi viene in mente una mia paziente, che vecchia non era ma temeva molto la vecchiaia e non si riconosceva più
Ma vedi quella è una categoria di persone che da giovani erano state molto belle, bellissime.
Le bellissime, i bellissimi, i bravissimi… possiamo pensare alle personalità narcisistiche? Possiamo ipotizzare che facciano molta fatica ad accettare le perdite che la vecchiaia comporta?
Ma tu non credi che una personalità narcisistica qualcosa impara attraverso la vita?
Mi stai suggerendo che anche se uno ha una personalità narcisistica, essendo vecchio, ha dalla sua parte un’esperienza di vita che lo aiuta. Quindi mi stai dicendo che la vecchiaia può costituire comunque un atout
Ah di questo sono sicura! costituisce senz’altro un atout. Certo c’è di mezzo anche la salute, ma noi sappiamo che la salute fisica dipende sempre dalla salute psichica. C’è anche chi non conosce l’atout che ha in mano!
A proposito di come le diverse personalità affrontano la vecchiaia… È poco probabile che un depresso abbia una vecchiaia non dico gioiosa, perché forse non è gioiosa per nessuno, ma per lo meno serena. Io credo che il depresso ha anche una vecchiaia depressa, perché io considero la depressione una malattia, ma forse anche il narcisismo, non so. Narciso era giovane, e la gioventù è una cosa che passa sempre.
SETTING
C’è un setting particolare con gli anziani?
Per me sì, il vis à vis. Io non lo metterei mai sul lettino, anche perché è raro che un anziano venga 3, 4 volte la settimana, quindi proprio per la frequenza.
Ma anche perché l’anziano ci sente poco, quindi ha bisogno di guardare in faccia
Anche quello è vero, non ci avevo pensato. È vero
L’ipoacusia è un problema grosso, a me è capitato con un anziano che ci sentiva molto poco e ho notato due cose: una che questa sordità disturbava molto me che dovendo parlare a voce molto alta non potevo fare quei commenti, borbottii, che mi vengono solitamente da fare in terapia, quindi quando intervenivo era per dire una cosa precisa e ad alta voce e questo mi inibiva molto perché non sempre avevo cose importanti da dire; tante volte si fa un piccolo intervento per far sentire la nostra presenza. L’altra cosa che ho notato è che il fatto che lui non mi sentisse era rilevante più per me che non per lui. A lui importava vedermi.
E vederti in faccia, vedere i tuoi gesti.
Quando finiva la seduta mi prendeva sempre la mia mano con le sue due. Io credo che non abbia sentito quasi nulla delle cose che io gli dicevo.
A proposito del corpo dell’analista
Anche il mio intervento alle ginocchia ha un significato, io ho lavorato tutta la vita stando in poltrona, così è venuta fuori questa malattia degenerativa delle ossa, già 15 anni fa.
I pazienti ti hanno messo in ginocchio
Sicuramente! Perché ho lavorato troppo!
Perdere le persone da vecchi è peggio anche se può apparire strano perché fa molta più pena un giovane che perde un compagno o una compagna. Da giovane hai più forza fisica e la forza fisica aiuta a reagire, a uscire, ad andare al cinema, a un concerto. Io per esempio non posso e per me è un regalo se qualcuno viene a trovarmi, perché non esco tanto volentieri. E così è l’opposto di quello che si pensa, che è meglio perdere una persona cara da vecchi, perché è un po’ la fisiologia della vita che i vecchi rimangano soli. D’altra parte è anche vero che da vecchia provi di più la solitudine, è più fisiologico perdere gli amici che muoiono prima di te. Rimani più solo e non fai nuove amicizie, e nemmeno ti interessa farne. È difficile fare qualcosa di nuovo da vecchi, anche se, per fortuna un po’ di curiosità ti rimane, io ho il desiderio di conoscere cose nuove, però in generale il desiderio cala, a tutti i livelli.
Il che forse è anche un bene, perché non facendocela da un punto di vista fisico, se il desiderio non calasse sarebbe più frustrante
Certo, quindi il calo di desiderio ti consente una vita più serena.
Io osservo che se da un lato è peggio perdere un compagno da vecchi, dall’altro sembra che da vecchi l’esistenza si smussi, si appanni, si ottunda. Nel lavoro con i vecchi, più che mai, devi continuamente oscillare tra i due poli, un grande e un debole investimento, un dolore cocente e uno annacquato, perché il paziente può vivere un polo ma contemporaneamente il suo opposto
Giusto, perfetto.
VECCHIAIA E REGRESSIONE
Prima dicevi che i pazienti anziani spontaneamente nominano la loro infanzia, il loro rapporto col papà, con la mamma. Fino a che punto la regressione è tollerabile in una persona anziana?
Io credo che un po’ di regressione, almeno quella che permette di recuperare qualcosa, bisogna consentirla, però credo anche che bisogna stare molto attenti perché la regressione può anche essere una trappola da cui non esci più. Io ho sempre lavorato molto con gli psicotici ed è una delle cose a cui sono attaccata, così so che la regressione un po’ è auspicabile, ma è anche pericolosa. E lo stesso con gli anziani vi è un equilibrio molto fragile. Ora non prendo più psicotici perché sento di non avere le forze psicofisiche necessarie, perché con gli psicotici non devi perdere una virgola o un movimento. E io sento che devi avere una grande forza per portarli a stare nella realtà, dato che per lo psicotico la realtà è sogno e il sogno è realtà, non puoi usare metafore, né sogni, ma puoi solo usare quello che succede. Il paziente si gratta la schiena o si aggiusta la camicia: chi lo sa perché lo fa? o come mai tu vai a pettinarti prima del suo arrivo? E quella è una cosa che nella vecchiaia non si può fare, io parlo di me, ci sarà qualcuno molto bravo che lavora sempre con gli psicotici.
RAPPORTO TRA VECCHIAIA E CASA
Mio padre è mancato nel ’71, io ero già qui e mi ha lasciato una bella villa sulle colline sopra Oslo. Il primo anno l’ho affittata, tanto per riordinarmi le idee e poi perché lì non puoi lasciare le case vuote perché i tubi ghiacciano. E poi l’ho venduta e ho comprato questa casa e ho portato quasi tutto l’arredo qui e sono contenta, è bello avere le cose di casa tua. Per me la casa è importante, ha a che fare con l’amore per la propria casa interna che ognuno deve avere, perché se non l’hai per te non l’hai neanche per gli altri
Questo a che fare anche con la cura per il proprio corpo
Si, mio padre, che era un uomo molto elegante, anche da anziano, diceva sempre che bisogna sempre vestirsi per bene, sempre essere in ordine, perchè lo devi a te stesso.
E poi nella casa ci sono tanti oggetti che sono tanti ricordi. Oggi tu mi hai portato un bell’oggetto e io quando lo guardo vedo te e così con altre cose. Per me la casa è molto importante e lo è sempre stata anche da giovane, perché vedevo che era importante per i miei genitori, forse allora a me non importava molto ma vedevo che per loro lo era
Forse nell’età anziana vi è un recupero familiare, da una generazione all’altra
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Wivie si fuma una Winston, ai suoi piedi Liù, il suo amato cane che ormai “non sa più di essere un cane, crede di essere una bambina”. In effetti Liù, un bassotto a pelo ispido, è la bambina di casa, ha un bel muso, con uno sguardo vispo e intelligente, presenzia a tutti gli eventi importanti e quindi anche alla nostra intervista. Anni fa ha partorito 3 cuccioli nella stessa stanza dove era in corso una commissione associatura della SIPP
Wivie osserva un nido sotto al berceau di vite: “Guarda com’è bellino, ma hai visto quell’uccellino? ha il petto tutto bianco. Forse 50 anni fa non l’avrei neanche guardato!”
50 anni fa la psicoanalisi non riusciva nemmeno a prendere in considerazione quante cose si possano scoprire dopo gli 80 anni!
L'intervista è stata pubblicata nel libro:
Chiara Nicolini et al. (2008) Il colloquio cn l'anziano, Borla, Roma.
[1] Nel 1940 la Norvegia fu invasa dai nazisti che furono avversati da un forte movimento di resistenza. All’epoca Wivie aveva 15 anni.
[2] Darlene Bregman Ehrenberg ha scritto un libro sulla self disclosure: The intimate edge, 1992, Norton professional Book NY